Italia, Paese con poche nascite e dall'età media sempre più avanzata.
I dati Istat presentati a livello nazionale, e oggi riportati dalla stampa italiana, trovano riscontro anche in quelli del bollettino demografico del Comune relativi al primo semestre 2021. Una contrazione dei nuovi nati, proseguendo il trend ultradecennale del Paese e del nostro territorio, su cui è doveroso soffermarsi, analizzare e riflettere, partendo dai dati.
Nel primo semestre 2021 si registra a Rimini una diminuzione della natalità: si contano 415 nascite contro le 493 del primo semestre 2020 (-78 unità pari al -15,82%). Nello stesso periodo i nuovi nati con cittadinanza italiana ammontano a 341, l’82,17% del totale, con un risultato in negativo di 46 unità rispetto alle 387 nascite italiane del primo semestre del 2020 (-11,89%). In diminuzione anche il dato dei nati con cittadinanza straniera pari a 74. Erano 106 nel primo semestre 2020 ( -30,19%). Se si guarda la serie storica, si registrano alcuni punti di svolta: nel 1963 Rimini ebbe il suo baby boom con 2.128 nuovi nati; nel 1980 per la prima volta i decessi in città (1.138) superarono le nascite (1.050); da metà degli anni Novanta, con il progressivo aumento dei flussi migratori, la curva in discesa dei parti torna a risalire fino al picco del 2008 con 1.457 neonati; di qui il trend riprende a scendere fino ai 1.022 nuovi nati del 2020, ai livelli di metà anni Ottanta (nel 1987 il record negativo con 963 nuove nascite).
Se la denatalità cresce in tutti i Paesi occidentali le cause sono molteplici: sociali, culturali, economiche. E’ il grande tema sul quale si interrogano i Paesi del tutto il mondo, dando risposte e soluzioni molteplici, alcuni interventi attraverso leve fiscali, occupazionali o di welfare, altre più culturali su cui è invece più complesso incidere. Questi fattori agiscono nel quadro, complesso e mutevole, dell’evoluzione degli stili di vita della popolazione e delle giovani generazioni in particolare. Sono ad esempio meno, rispetto alle passate generazioni, i giovani che ambiscono a famiglie numerose o, dando un rapido sguardo ai report nazionali, che dichiarano di avere altre legittime priorità rispetto alla genitorialità, o che comunque preferiscono posticipare la scelta di avere figli. Nel quadro sociale e culturale in essere, i margini di azione delle misure di contrasto alla denatalità sono così ristretti e vanno per questo motivo pienamente sfruttati. La necessità è quella dunque di sostenere le famiglie, in tutte le sue nuove forme e relazioni sociali, concentrando adeguate forme di incentivazione, agevolazione e supporto dei progetti di genitorialità. I
Questo appare ancora più importante laddove le coppie sono tendenzialmente più sole, nel senso che non sempre o non più, possono contare su una rete parentale (i nonni, su tutti) o di prossimità (il vicinato) a sostegno, dovendo inoltre conciliare tempi e modalità lavorative del tutto inediti, spalmati ormai su tutta la settimana, giorno e notte. Significa che i Paesi, e le città nei Paesi, devono armonizzare il loro sviluppo e i loro ritmi intorno alle esigenze di una famiglia che negli ultimi decenni è profondamente cambiata nei numeri e nel ruolo sociale.
L’assegno unico appena approvato dal Governo è una misura importante ma non basta. L’assegno unico e universale è un pezzo importante che va integrato con uno strutturale potenziamento dei servizi per l’infanzia e con l'organizzazione del lavoro di cura per le persone fragili e non autosufficienti. In questo senso le politiche nazionali di welfare devono essere sempre più vicine a quelle di altri Paesi europei, sapendo bene che occupazione, funzionamento dell’ascensore sociale sono elementi strategici allo stesso modo e con lo stesso impatto sul problema della denatalità.
Per quanto riguarda le singole città, è chiaro che la risposta a un tema così grande non possa essere quella esaustiva, se ne esiste una esaustiva. Ma una cosa le città possono farla: riconfigurarsi e rigenerarsi intorno al tema di una fotografia sociale in cui la famiglia e le sue esigenze non sono più quelle di un tempo. Le leve fiscali, seppur fondamentali, da sole non possono bastare per invertire la tendenza alla natalità. Serve infatti una visione di città basata sui reali bisogni delle famiglie. Una città dove i servizi siano funzionali al territorio e vicino ai luoghi di vita e lavoro delle famiglie, dove incontrarsi con altri genitori e magari allattare i propri figli tra una incombenza e l’altra della nostra quotidianità. Non sto parlando di servizi specifici, ma di un modo diverso di intendere quelli che già abbiamo.
La ‘mossa’ fatta da questa Amministrazione comunale nel primo bilancio di previsione del suo mandato - e cioè quella che permetterà a 700 famiglie riminesi di poter usufruire gratuitamente dell’asilo nido va in questa direzione. Un intervento in grado di impattare positivamente anche sull’occupazione dei genitori e sullo sviluppo di quelle relazioni sociali che, soprattutto nelle famiglie più deboli, sono l’unica possibilità di integrazione nel tessuto cittadino.
Poi ci sono le strutture a supporto. Un esempio su tutti è quello del Centro per le Famiglie di piazzetta dei Servi, che non si è fermato nemmeno durante il lockdown, frequentato (virtualmente o in loco) da 2.600, tra genitori, bimbi ed adolescenti riminesi. Sostegno alla natalità che non passa solo da consulenti, psicologi ed educatori, ma anche semplicemente da un punto per allattare, uno spazio lettura aperto a tutti o dei giochi da fare insieme ad altre famiglie. Sentirsi accolti e coccolati, non solo e non tanto aiutati od assistiti.
Certo, poi servono anche le risorse, e allora è necessario utilizzare la leva economica, per esempio, sostenendo le circa 200 famiglie numerose (4 o più figli) con bandi dedicati. Oppure intervenendo quando le famiglie con minori hanno problemi abitativi od occupazionali, tramite gli specialisti dello sportello sociale, con un mix tra contributi economici e sostegno relazionale. C’è il sostegno all’handicap, ci sono nel bilancio di Rimini oltre 33,7 milioni per i diritti sociali, politiche sociali e famiglia e 18,2 milioni per l’istruzione e il diritto allo studio.
Anche da qui, penso, possa ripartire la fiducia nel futuro e, con essa, la ripresa delle nascite e della crescita della nostra città. Ma è chiaro il messaggio di fondo: sono le istituzioni a doversi adattare alle famiglie e non viceversa. Aggiornare i servizi, dalla scuola agli sportelli pubblici, è una misura altrettanto forte che intendiamo assumere di qui in avanti”.