“Le decisioni del Consiglio di Stato sul tema delle concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative mette un punto che la politica italiana a tutti i livelli questa volta non potrà né rimandare né bypassare.
È dal 2006 che questa discussione è in corso e ora l’organo giurisdizionale scrive la parola ‘fine’. Al di là delle comprensibili, legittime singole posizioni e posizionamenti, quello che da subito emerge è come lo Stato italiano, competente per legge in materia, e tutta la politica, a partire da quella centrale, debbano assumersi le proprie responsabilità nei prossimi mesi per evitare che alla scadenza (più vicina di quanto si pensi) del 2023 un settore così importante e strategico per l’industria nazionale del turismo e in generale per l’economia sia ancora più nel caos di oggi. Alibi non ce ne sono più. Bisogna cominciare da subito per una riforma organica della materia che tenga conto delle peculiarità di un settore che non riguarda infatti solo stabilimenti balneari ma anche negozi, cinema, distributori di benzina, circoli nautici e altre attività. Una riforma indispensabile per tutelare in primis gli stessi operatori, i primi paradossalmente ad essere ‘puniti’ e danneggiati dalle incertezze di questi anni. Insieme a loro i comuni costieri, presi in mezzo e penalizzati dal fatto che in uno scenario tale i necessari investimenti e miglioramenti per tutelare e rafforzare un pezzo strategico del turismo nazionale sia di fatto impossibile. Rimini in testa visto che investimenti pubblici come il nuovo Parco del Mare, realizzati per mantenere altissimo il livello di competitività del nostro turismo, devono necessariamente avere una corrispondenza nella riqualificazione della infrastrutturazione di servizio privata, stabilimenti balneari e alberghi.
Nelle sentenze del Consiglio di Stato sono comprese alcune indicazioni che potranno e dovranno essere utili al Governo che ora non può più perdere un secondo di tempo nel mettere mano a una riforma vera e trasparente del settore: se si incarterà in uno sterile dibattito politico e partitico o se penserà di trovare altre scorciatoie il tempo comunque scadrà il 31 dicembre 2023, al netto dei probabili ricorsi verso le decisioni assunte dal consiglio di Stato già annunciate. Nelle sentenze si scrive chiaramente di indennizzi per i titolari uscenti da calcolare sugli investimenti fatti; si parla di valorizzare l’esperienza professionale e il know how acquisito. Molto di quello che era già contenuto con la proposta di DDL spiagge, sulla quale avevano lavorato i nostri parlamentari Tiziano Arlotti e Sergio Pizzolante negli anni scorsi. Una proposta poi infilata in un cassetto nella speranza (evidentemente vana) di aggirare la normativa europea sulla concorrenza. Nella piattaforma Arlotti-Pizzolante, insieme alle evidenze pubbliche e alla premialità degli investimenti, venivano introdotti principi come il riconoscimento del valore commerciale dell’impresa; la salvaguardia dei livelli occupazionali; la valorizzazione delle peculiarità territoriali, le forme di gestione integrata dei beni e delle attività aziendali e le professionalità acquisite, sia dai concessionari sia dai gestori.
Il Governo italiano può ripartire da qui. La cosa peggiore per il Paese, per i Comuni, per gli operatori, per i turisti è, a questo punto, la tentazione di perdere altro tempo, di salire sulle barricate di posizioni politiche sterili e non affrontare con serietà e rigore il problema. La cosa peggiore sarebbe arrivare a dicembre 2023 senza alcuna soluzione praticabile. Il problema non scomparirebbe per incanto: vorrebbe semplicemente dire dal giorno dopo aste pure e basta. La riforma cui mettere mano dovrà quindi consentire di differenziare tra diversi usi e funzioni delle concessioni e delle attività svolte e, punto particolarmente rilevante per una realtà come quella riminese, stimolare investimenti nel settore e nelle strutture a vantaggio di un incremento di qualità, necessario per mantenere elevato il grado di concorrenzialità, dell’offerta turistica balneare. Gli enti locali devono essere coinvolti in questo percorso di riforma e devono poter disporre di tutti gli elementi necessari per bandire le gare, soprattutto in considerazione che la materia è statale. Che nessuno pensi di scaricare o lasciare soli i Comuni e le Regioni”.