Bisogna uscire da questa fase emergenziale in tutti i sensi per trovare una strada vera e concreta di convivenza con il virus.
È di oggi l’ennesima conferma del colpo di maglio che la pandemia ha assestato soprattutto sul settore del turismo.
La comparazione tra 2019 (anno pre Covid) e 2021 in ordine alle cosiddette ‘posizioni di lavoro’ mostra un saldo negativo di quasi 23 mila occupati nel Paese. Mentre gran parte dei settori ha ritrovato e superato i numeri del periodo pre pandemico (costruzioni, alimentari, terziario professionale), le aree imprenditoriali di più grave crisi sono soprattutto quelle legate all’ospitalità e all’intrattenimento. E si tratta di decine di migliaia di posti di lavoro, cancellati, precari o a fortissimo rischio. A cavallo dell’anno, la diffusione rapidissima della variante Omicron ha spento ancora una volta le insegne di alberghi, ristoranti e pubblici esercizi: ho visto, anche a Rimini, reazioni responsabili, dovute alla consapevolezza del delicato momento sanitario e sociale. Ma adesso occorre anche guardare in avanti e non solo all’oggi. Vuol dire che l’economia e l’occupazione non possono continuare a essere appesi a ristori e agevolazioni, peraltro ritagliate in un debito pubblico che prima o poi dovrà essere pagato.
Bisogna uscire da questa fase emergenziale in tutti i sensi per trovare una strada vera e concreta di convivenza con il virus. Lo stanno facendo in questi giorni altri Paesi che sono pure concorrenti dell’Italia sul mercato turistico. Lo stesso OMS, ieri, ha sottolineato come ci si stia avvicinando a un’auspicabile fine della pandemia in Europa. Ma dobbiamo tornare a programmare adesso perché, come avverte anche Federturismo, ‘se entro i prossimi 30 giorni non supereremo la quarta ondata dell’epidemia, non imboccheremo la via della ripresa nel 2022’.
Non è una questione di questo o quello, un aut aut tra salute e economia: si tratta di continuare a essere cauti ma di cambiare atteggiamento e approccio per definire i criteri di una nuova normalità, in cui la paura non paralizzi ogni spinta alla ripresa. In una intervista recente, il Ministro al Turismo Massimo Garavaglia esprime alcuni concetti condivisibili, a partire da quella più evidente: in Italia si parla di Covid in maniera molto più emergenziale e ossessiva che altrove. Quindi, sottolinea l’esponente del Governo, le misure restrittive sui viaggi internazionali, molto più rigorose in Italia che altrove con il risultato che aree concorrenti dalle normative o approccio più flessibili (es. la Spagna) sottraggono clienti ai nostri operatori. Ci stiamo sparando sui piedi, chiosa Garavaglia.
Bisogna che torniamo a parlare di programmazione, anche a breve termine, e vuol dire ripartire ’normalmente’ a primavera. Ma è necessario deciderlo ora perché un’industria come quella turistica non si accende o si spegne con un clic sull’interruttore. Questa cosa è bene dircela, senza volere entrare in un dibattito da ‘prima quello e poi questo’, di una classifica tra cose è indispensabile e cosa non lo è. L’economia non riguarda solo pochi ‘padroni’ ma la vita di tutte le famiglie, dei giovani, degli adulti. Il turismo, anche a Rimini, ha dato con responsabilità e senso del dovere da marzo 2020, così come l’intera Italia. Ma ora non può più attendere. Sappiamo bene che il 2022 è già un anno molto complicato perché sulle imprese italiane si sta già abbattendo il peso dell’aumento stellare della bolletta energetica e, come in una tempesta perfetta, il probabile calo dei consumi derivato dall’analogo incremento, pesantissimo incremento che sta toccando alle famiglie italiane.
A un Parlamento che nelle prossime ore sarà impegnato nella elezione del Presidente della Repubblica, Rimini e il suo principale settore industriale e economico, che occupa 70 mila persone e genera un valore economico di 4,6 miliardi di euro all’anno (dato pre pandemia), chiede di agire e dare respiro a una ripartenza che non può attendere oltre poche settimane. Non si tratta di ristori ma della possibilità di tirarsi su in piedi definitivamente, facendo finalmente in modo che il mantra della ‘convivenza con il Covid’ non sia solo un guscio lessicale ma un concreto progetto di ritrovata normalità.