La città di Rimini è orgogliosa di ospitare quest’anno l’assemblea nazionale Anci. Non solo per l’evento in sé, tra i più importanti del Paese, che premia una realtà italiana, Rimini appunto, che si riconosce nel dinamismo positivo del cambiamento. Ma anche perché se Anci è la casa dei sindaci, Rimini è la casa degli italiani: un italiano su 2, secondo la Nielsen, è stato a Rimini, o per vacanza o per lavoro. Ogni anno sono almeno 13 milioni le presenze turistiche nella nostra città. Una città popolare nel senso più alto del termine. E dunque, a pieno titolo, sede ideale per ospitare l’incontro del livello istituzionale più vicino ai cittadini e alle persone. Rivolgendosi a noi Sindaci “I Comuni italiani sono il tessuto connettivo del nostro Paese [caro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarela, lei ha detto] e i sindaci sono i volti e le braccia della Repubblica Italiana”. Grazie signor Presidente. E’ davvero così, sentiamo tutta la responsabilità di questo ruolo, in una fase storica complessa. E se tra mille problemi, incertezze e pesi che portiamo anche per le responsabilità le più diverse che sono e anche per queste parole.
Questa assise cade in un momento delicato e particolare della nostra vicenda nazionale e del rapporto tra Stato centrale e enti locali. Abbiamo voluto proprio così il titolo della XXXV edizione ‘Prima cittadini’ perché comunque i Comuni restano un pilastro, il baluardo di vera democrazia più vicino ai problemi e alle istanze delle persone e delle comunità, volendo risolverle nel nome del bene comune. I Comuni sono la faccia e il portone riconoscibile e sempre aperto per i cittadini. Sottolineo tre volte questo concetto: bene comune. E’ un interesse che ricade su tutti in egual misura, che non lascia indietro nessuno perché prima di ogni cosa e di ogni provenienza o nazionalità o credenza religiosa siamo cittadini.
E ci riconosciamo appena eletti in nessun altro colore politico se non in quello del tricolore. Questo per occuparci al meglio tutti i giorni, da un asilo ad una strada, dal lavoro alla salute, ai cittadini.
Si perché i Comuni, i sindaci si occupano prima di tutto dei cittadini. Cittadini, che non è sinonimo di elettori, né per il vocabolario italiano né per la Costituzione.
Lo fanno con difficoltà crescenti. Non oggi, da almeno 15 anni a questa parte si è progressivamente affievolita l’idea stessa di istituzione. Si sono creati muri alti tra diversi livelli istituzionali, a volte in un crescente senso di sfiducia reciproca. Si è cominciato tempo fa, annunciando tagli fiscali per poi costringere gli Enti locali alla parte dei ‘cattivi’, aumentando i tributi per non morire e per garantire i servizi primari. Si è arrivati a oggi con la questione del bando periferie, per certi versi senza precedenti, e che solo adesso può essere sanata dal buonsenso e da un accordo tra Anci e Governo, me lo si consenta, promosso e ottenuto grazie anche alla sacrosanta protesta dei Comuni coinvolti e dal lavoro del nostro Presidente Antonio Decaro che ringrazio per il lavoro fatto su questo e per l’impegno su innumerevoli tematiche che riguardano i comuni.
Il tema sotteso a questo frastagliato rapporto tra livello centrale e locale del quadro amministrativo nazionale è cosa si considera essere un’istituzione e quali siano i suoi obiettivi esclusivi. I Comuni hanno ben chiaro che istituzione è strumento di un’idea di comunità libera, democratica e che si riconosce nella solidarietà e non in qualsiasi forma diretta o mascherata di egoismo. Ne sono così consapevoli che dalla legge di riforma di inizio anni Novanta, proprio in tanti Comuni si sono sperimentati progetti, iniziative, modalità di governo, che sono stati propulsori di un’idea avanzata di Paese moderno, europeo. Sono migliaia i ‘casi di scuola’ da 20 anni ad oggi, peccato non si siano mai tradotti nella visione complessiva di un’Italia senza paura e senza paure, che si riconosce in un codificato patto permanente tra livello centrale del Governo del paese e Autonomie locali.
Noi sindaci non possiamo permetterci di non cambiare, e cioè di restituire dopo 5 o 10 anni le città come le abbiamo avute da chi ci ha preceduto. Perché? Semplice: perché in un lustro o un decennio il mondo cambia e le città devono per forza cambiare. Dieci anni fa ancora nessuno aveva in mano smartphone con tecnologie come quelle di oggi: oggi è lo strumento più usato al mondo. Dunque, che le città siano in perenne movimento non ci piove. Il tema è un altro: come permettere alle città di interpretare il cambiamento e non subirlo. Come permettere alle città di avere risorse e strumenti per cambiare. Ed è qui che è chiamata ad avere un ruolo e un compito la politica. Usiamo la leva della crescita urbanistica? Di un modello di sviluppo centrato sulla rendita immobiliare? Ci limitiamo a qualche piccolo ritocco di facciata?
Se per le nostre città l'unica leva di un possibile sviluppo è centrata sulla sostenibilità sociale, ambientale, urbana, allora la sostenibilità va ricercata non in un solo settore o in uno specifico campo: la visione di una città non si limita all’urbanistica. Occorre cercare e progettare connessioni. Connessioni che producano comunità e ricostruiscano comunità intorno a modelli integrati di sviluppo a forte innovazione.
Noi Sindaci per poter immaginare una visione di sviluppo con questo orizzonte culturale, in fondo chiederemmo un patto con lo Stato centrale: più responsabilità e più autonomia. In cambio del rispetto dell’equilibrio di bilancio. Più autonomia organizzativa, fiscale e d’investimento in cambio del rispetto e del contributo all’equilibrio dei conti del Paese. Sembra poco, ma è tutto!
Si torna quindi al titolo della nostra assemblea ‘Prima cittadini’. Queste fasce tricolori che portiamo non rappresentano il nostro schieramento politico, ma le nostre comunità e il nostro Paese. Siamo la stessa cosa. Istituzione è ciò che persegue il bene comune sulla base della condivisione di regole che valgono per tutti. Ripartiamo da qui. Per noi sindaci non è una novità ma anche stavolta non rinunceremo, per stanchezza o disillusione, a dare il nostro contributo. Anche noi siamo prima di tutto cittadini italiani.
Il territorio riminese è una delle tante città straordinarie di questo nostro paese più bello del mondo, siamo famosi per il turismo, le spiagge, i servizi e i sorrisi.
Un borgo di provincia di 330 mila persone, con 160 del suo capoluogo. Ma che fa 24 milioni di presenze turistiche e che su questi numeri organizza i servizi, l’acqua, i rifiuti, i trasporti. Sotto l’ombrellone c’è la nascita di una città dove passava la Linea Gotica e che è stata colpita da 386 bombardamenti.
Oggi ancora siamo dentro un cambiamento: oltre al sistema idrico fognario, i nuovi lungomare, togliamo dall’ombra gli splendidi castelli, le rocche, i borghi di collina e dell’Appennino, la città romana di Tiberio e Augusto, medioevale di Giotto, rinascimentale di Piero della Francesca e Leon Battista Alberti, quella dell’800 verdiano e del ‘900 di Fellini.
Ecco proprio Fellini diceva: “tutto si immagina” . Sarebbe bello immaginare un paese che accompagnasse davvero, e tutti i giorni, le sue città e i suoi comuni a trasformare l’immaginazione e il lavoro dei suoi Sindaci in città visibili e servizi concreti.
Buon lavoro a tutti