Welfare: Housing first, da sperimentazione a realtà strutturata

La Giunta rinnova per il prossimo triennio il progetto innovativo di housing sociale. Dieci le persone transitate, le storie di Eugenio e Anna
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Una panchina della sala di attesa del pronto soccorso, piuttosto che un angolo buio del parcheggio, sono gli scenari ormai tristemente abitudinari di una vita trascorsa dentro e fuori l’ospedale di Rimini, tra problemi di salute, solitudine e isolamento esistenziale. Eugenio, ora alle soglie dei sessanta anni, era un padre di famiglia come tanti, sposato e con un figlio. Poi i litigi sempre più frequenti e la separazione, nel 1996; da allora una graduale e terribile discesa negli abissi dell’emarginazione che per lui assume le sembianze di Rimini, un posto come un altro in cui scappare dalla Calabria, in cui continuano a vivere moglie e figlio. Venti anni ai margini, da disperato, con l’alcol che brucia stomaco e futuro, creando una dipendenza alleviata solo dai sempre più frequenti ricoveri ospedalieri. Quando lo dimettono lui si ferma fuori dalla porta di ingresso e dorme lì o poco più in là, cercando qualche spiccio da chi si ferma a parcheggiare. I volontari dell’Associazione Papa Giovanni XXIII lo hanno trovato, accolto e infine inserito in una abitazione, assistendelo ma lavorando anche e soprattutto sulla sua autonomia. Eugenio prende fiducia, si cura, inizia un percorso sanitario per disintossicarsi, ed ora gestisce in autonomia la casa, cucinando anche per i volontari. Ora il suo sogno è quello di poter incontrare suo nipote appena nato, anche perché con il figlio, con grande pazienza, si sono gradualmente riallacciati i rapporti.

 

Quella di Eugenio è una traiettoria di vita purtroppo non così difficile da incontrare per strada. Per lui e altre nove persone che sono entrate a far parte del progetto, l’ Housing first rappresenta un’opportunità. Housing first è un progetto innovativo di housing sociale attivato nel 2012 e che la Giunta del Comune di Rimini ha appena approvato in maniera strutturata per il prossimo triennio 2017-2019 con uno stanziamento di settantamila euro. Un nuovo modello di intervento per il contrasto alla marginalità grave, che inverte i canoni formali dell’assistenza, partendo da dove solitamente si termina, dando cioè abitazione ai senza fissa dimora stanziali sul territorio. Dando loro una casa dove vivere, si offre la possibilità di riappropriarsi dello status di cittadini, sia dal punto di vista strettamente amministrativo (molti di loro sono infatti senza residenza, tessera sanitaria, assistenza), che da quello più generale di sentirsi membri di una comunità. La casa come punto di partenza, in estrema sintesi, di un percorso individuale verso l’autonomia. Tra la decina di senza fissa dimora transitati nel progetto, c’è chi ha riscattato il proprio stato di salute, chi si è disintossicato, chi ha trovato la forza di riallacciare rapporti famigliari e chi ha potuto per la prima volta ottenere assistenza sociale e interventi sanitari. Il presupposto è che le persone, anche in situazione di disagio forte, abbiano le risposte per sviluppare un progetto di vita sano. Con un giusto aiuto possono ritrovare la fiducia in se stessi e responsabilizzarsi. È stato dimostrato come il passaggio dalla strada alla casa rompe il circolo vizioso creato dall’ impotenza: un ambiente sicuro stimola la volontà e il cammino di riscatto.

Come nel caso di Anna, una badante dell’est anche lei poco meno che sessantenne. In poco tempo perde marito, diventando vedova, e lavoro, precipitando velocemente in una spirale di solitudine e alcol; dilapida i pochi soldi che era riuscita a tenere da parte e si ritrova a vivere per strada. Si ammala e non si cura, una patologia importante alla gola, unita agli abusi alcolici la debilita e compromette gravemente. Imbocca un tunnel che vede la luce negli occhi dei volontari che la trovano a vagabondare, e le propongono di accoglierla alla “Capanna di Betlemme”. Lei diffida e non accetta, ma poi la tenacia dei volontari ha la meglio. Anna viene accolta, assistita, ascoltata, fatta sentire in una grande famiglia. Gli viene offerta la possibilità di una abitazione autonoma, accetta, inizia a disintossicarsi, e riprende a lavorare saltuariamente. Riprende i contatti con i figli lontani con cui aveva interrotto ogni rapporto. Grazie al progetto “housing firts” inizia un percorso di autonomia, riesce a prendere la residenza e soprattutto affrontare le sue difficili condizioni sanitarie; si opera alla gola all’ospedale di Forlì. Non tutto è risolto, ma oggi Anna riesce a lavorare e sogna un giorno di rivedere i suoi figli diventati grandi, riprendendo la vita dove l’aveva lasciata andare diversi anni fa.

“Quelle di Anna ed Eugenio – commenta Gloria Lisi, Vice Sindaco con delega alla protezione sociale del Comune di Rimini – sono storie che testimoniano come anche sul lavoro di strada, con l’emarginazione grave, vi sia sempre una possibilità di riscatto. Housing first è partito come una scommessa, ora sta dando i primi risultati concreti, che ci spingono a continuare e rendere più strutturato negli anni questo percorso. Dietro a queste storie c’è un impegno quotidiano di volontari, assistenti sociali, personale amministrativo e sanitario che si prende a cuore le persone e le accompagna gradualmente ad una autonomia possibile. Un percorso fuori dalla ribalta, ma dentro una città che anche grazie a queste storie si sta scoprendo più aperta, accogliente e solidale”.

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Ultimo aggiornamento

15/05/2023, 16:52