Aperta con ingresso gratuito fino al 4 aprile tutti i giorni dalle ore 10 alle 13 e dalle 16 alle 19.30 tranne nella giornata di lunedì.
Per le scolaresche è consigliata la prenotazione. Su richiesta visite guidate a cura di Elisa Gardini, Istituto Storico della Resistenza di Rimini.
Informazioni e prenotazioni: tel. 0541 704203
educazionememoria@comune.rimini.it
La mostra didattica esplora lincontro tra sport e dittature, con particolare riferimento alla Germania nazista e allEuropa occupata e nel tentativo di uno sguardo comparativo anche con scenari politici per molti versi simili di altri regimi totalitari come lItalia fascista o di governi autoritari come la Francia di Vichy.
Luso della pratica sportiva che tali regimi totalitari hanno fatto - allinsegna di concezioni ideologiche dellattività fisica e di teorie razziste dellumanità, di misure di esclusione e di discriminazione, nonché di una politica nazionalista che identificava la prestanza fisica dei propri atleti con la forza diplomatico-militare del proprio governo -, rappresenta indubbiamente una chiave di lettura efficace e interessante per leggere tutta la storia europea del XX secolo. In particolare il suo capitolo più buio, scritto allepoca dei Giochi Olimpici di Berlino organizzati nel 1936 dalla Germania di Hitler, fino al rinnovamento olimpico abbozzato dopo la guerra con le Olimpiadi di Londra del 1948. Mentre il regime nazista prepara ledizione più grandiosa della storia delle Olimpiadi moderne, il Führer instaura una dittatura feroce che imprigiona nei campi di concentramento gli oppositori politici, perseguita i propri cittadini ebrei, discrimina Sinti e Rom e governa la popolazione tedesca in un combinato di terrore assoluto e seduzione.
Parallelamente alla ricostruzione dello scenario politico dello sport nellEuropa degli anni Trenta e Quaranta, la mostra racconta il destino di numerosi campioni sportivi, uomini e donne, ebrei e non ebrei, la cui carriera fu travolta dallascesa del nazismo e del fascismo. Atleti che si videro esclusi dalle competizioni e dalla vita sociale, perseguitati per motivi razziali o politici, che furono costretti a emigrare, ad abbandonare lagonismo e i propri sogni, oppure che scelsero di resistere alla dittatura e provare a battersi per il diritto allo sport e alla vita.
Anche per i più grandi campioni e le più grandi campionesse di origine ebraica il destino fu lo stesso di tutti gli ebrei perseguitati e condannati a morte per la sola colpa di essere nati. Rinchiusi nei ghetti o deportati nei campi di concentramento e mandati a morire nei centri di sterminio, subirono torture crudeli, se riconosciuti dalle SS, in quanto costretti a usare lo sport proprio come strumento di annientamento e sadismo.
Ideata sotto la direzione scientifica dello storico e ricercatore Patrick Clastres del Centre dhistoire di Sciences-Po di Parigi e coordinata da Caroline François e Hubert Strouk per il Mémorial de la Shoah, la mostra presenta anche una sezione tematica dedicata allo sport sotto il regime di Mussolini, curata da Laura Fontana, responsabile per lItalia del Mémorial de la Shoah e dellAttività di Educazione alla Memoria del Comune di Rimini, insieme a Paul Dietschy, docente di storia contemporanea dellUniversità di Franche-Comté, in collaborazione con gli storici e studiosi dello sport sotto lItalia fascista Daniele Marchesini, Gianluca Gabrielli, Patrizia Ferrara e Mauro Valeri.
I destini emblematici dei pugili italiani di origine ebraica Leone Efrati, Lazzaro Anticoli, Settimio Terracina o mulatti come Leone Jacovacci, ma anche quello degli allenatori di calcio Egri Erbstein e Arpad Weisz, entrambi ebrei ungheresi, tutti discriminati e perseguitati dal fascismo, dimostrano come lo sport italiano non fu indenne da una politica razzista e di epurazione condotta con grande meticolosità, dal momento che gli sportivi ebrei sono espulsi contemporaneamente dal Club Alpino Italiano e dai Circoli di Tennis, dalla Federazione Pugilistica e di calcio e dai Club di ginnastica e canottaggio, per fare solo alcuni esempi.
Di fronte alla maggioranza di un mondo sportivo allineato, per adesione o per opportunismo, per paura o per conformismo, alla politica persecutoria del regime, un mondo da cui silenziosamente e nellindifferenza generale furono espulsi uno dopo laltro tutti gli atleti e sportivi non ariani, spiccano i rari esempi di coraggio, disobbedienza civile e resistenza come quelli del campione di ciclismo Gino Bartali dellalpinista Gino Soldà che si prodigarono, a rischio della propria vita, per salvare centinaia di perseguitati, tra cui molti ebrei, e del calciatore Ferdinando Valletti, compagno di prigionia a Gusen di Aldo Carpi. A testimonianza che non tutti si piegarono alla dittatura e rimasero passivi o compiacenti.
e furono pochi gli sportivi ebrei che sopravvissero alla guerra, ancora più rari furono coloro che dopo il 1945 furono in grado di riprendere la carriera sportiva. Alfred Nakache, il grande nuotatore francese, campione internazionale pluripremiato e con molti record e titoli vinti, che dopo essere sopravvissuto alla terribile prigionia nel complesso di Auschwitz tornò a gareggiare alle Olimpiadi di Londra del 1948 è sicuramente uneccezione che segna la storia della letteratura mondiale dello sport di tutti i tempi.
La storia di questi campioni dello sport è stata occultata per lungo tempo, soffocata nella grande storia della shoah, e ha potuto lentamente emergere dalloblio solo alla fine degli anni Ottanta, anche se resta tuttora sconosciuta alla maggioranza delle persone.
Una mostra da non perdere, per leggere il nazismo e il fascismo anche attraverso la lente dello sport e che vuole essere anche un tributo alla memoria di tantissimi sportivi ingiustamente dimenticati.
Parallelamente alla mostra del Mémorial, verranno esposte venti tavole disegnate secondo la tecnica del graphic novel da Matteo Matteucci e dedicate alla tragica vicenda di Arpad Weisz, da allenatore di calcio di fama internazionale nell'Italia degli anni Trenta a deportato e ucciso ad Auschwitz con la sua famiglia.