Sigismondo d’Oro 2018: consegnata a Eron e Elio Tosi la massima onorificenza cittadina

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Sigismondo d’Oro 2018: consegnata a Eron e Elio Tosi la massima onorificenza cittadina

 

Sono l'artista Eron e lo storico imprenditore della ristorazione Elio Tosi i due Sigismondo d’Oro per l’anno 2018, il riconoscimento attribuito ogni anno a coloro che attraverso la propria attività rendono onore alla comunità riminese.

La cerimonia di consegna è avvenuta oggi pomeriggio aperta dal Sindaco Andrea Gnassi che ha letto il Saluto di fine anno alla città e ai suoi cittadini, negli spazi del Teatro ‘Amintore Galli’ che, inaugurato il 28 ottobre scorso a 75 anni dalla sua distruzione, è rimasto per l’intera giornata a disposizione della curiosità dei tanti riminesi che hanno colto l’occasione per conoscerlo nella sua interezza, dal foyer alla sala coi suoi palchi ottocenteschi, ai sottotetti destinati al ballo, ai sotterranei dove le tracce archeologiche rinvenute durante i lavori di ricostruzione raccontano in maniera multimediale della nascita della città.

 

Una cerimonia dunque densa di significati, che il Sindaco Gnassi ha ripreso nel suo saluto alla città.

“Buonasera a tutti voi e benvenuti in questo solenne spazio, la nostra nuova e antica casa, il nostro teatro: è la prima volta che la cerimonia del Sigismondo d’Oro viene ospitata dal teatro di Rimini.

E già questo basterebbe a determinarne la straordinarietà. Si fondono qui e ora cultura, tradizione, storia e storie di vite eccezionali sotto la volta di uno spazio che vuole essere, a tutti gli effetti, motore di un nuovo civismo, di nuova di comunità. Un teatro dell’oggi, del come è e del come sarà. Con le sue 8 sale e fuori un’arena delle arti in Piazza Malatesta, un outdoor del teatro stesso e del Museo Fellini che sarà pronto per il 2020.

Benvenuti a Davide Salvadei (ERON) e a Elio Tosi, ai quali tra qualche minuto conferiremo la più significativa delle onorificenze cittadine.

ERON e Elio portano dentro sé l’essenza della riminesità. Certo, la portano nelle pieghe di percorsi e età radicalmente differenti, ma nella sostanza strade parallele, traverse dello stesso binario. Il binario è Rimini, questa comunità. Una città stratificata e sedimentata in millenni, secoli, anni e giorni; irridente e malinconica, dissacrante e laboriosa, vorace e altruista: imperfetta sì, ma profondamente libera. Libertà.

Libertà è la parola che meglio descrive Rimini. Perché è una parola che contiene tutto.

C’è l’umanità e il senso di amicizia di Tosi che porta ‘due passatelli in brodo’ all’amico Federico Fellini sul letto d’ospedale a pochi mesi dalla morte. Un gesto semplice, quello di Elio, del dare all’amico illustre come all’ospite turista sconosciuto, fatto per un’intera vita all’Embassy o in mille altri posti. E’ la libertà riminese che diventa ospitalità. Essere ospitali non perché ci conviene, ma perché è nel nostro DNA la voglia, l’istinto, il sentimento di intessere relazioni con gli altri. Una volta Elio ha detto: “facevamo a gara tra noi a chi faceva star meglio l’ospite. Se stan bene loro, stam bene anche noi”. Solo le persone libere sono ospitali. Si è liberi perché si è forti del proprio progetto di vita e del proprio progetto di città.

E nella parola libertà c’è poi il desiderio di esprimere letture del mondo, il desiderio di esprimere una creatività interiore che abbatte convenzioni e spazi. E’ così nel giovane writer ERON che disegna anni fa su un muro pubblico un coniglio diabolico che con intenzioni bellicose esce da un uovo di Pasqua. Una libertà riminese dissacrante che trasforma un simbolo del consumo, l’ovetto Kinder (con la kappa) Ferrero, nei KRimini (con la kappa) di un coniglietto firmato FERRERON.

Ma non è così semplice essere città libera nel mondo d’oggi. L’ultimo rapporto Censis ci descrive una società italiana impaurita e addirittura incattivita. Un malessere diffuso figlio della grande battaglia in corso: quella tra cinismo e speranza. Tra i due l’area di mezzo, quella della rassegnazione.

Se a vincere fosse quest’ultima, il futuro ci porterà comunità disgregate, in cui l’egoismo avanzerà continui assalti alle nostre esistenze. E’ in atto un cambiamento antropologico che porta a vivere il tempo come un eterno presente, in cui la solitudine viene industrialmente alimentata dall’algoritmo che governa per interesse commerciale i ritmi e i modi della quotidianità, sovrapponendo alla persona, il cliente. Ai cittadini, gli elettori.

Le parole ‘relazione’ e ‘connessione’ vengono usate abitualmente come sinonimi. Non sono la stessa cosa, non sono sovrapponibili. Nelle società della quarta rivoluzione industriale, l’algoritmo e la tecnologia più che verso la persona ricercano oggi  la ‘profilatura’ individuale: chi sei, cosa hai comprato, cosa posso proporti di acquistare domani, cosa ti devo dire per farmi sostenere. E il target è sempre il singolo, il suo ‘sovranismo individuale’ perché l’egoismo e l’isolamento convengono in tutti i sensi all’algoritmo, che così ti vende e ti indirizza. E’ una pura connessione senza relazioni.

Siamo a trent’anni dal 1989 che segnò la caduta dei muri e l’anno zero della globalizzazione. C’era la speranza nella globalizzazione come opportunità. Ha trionfato la destrutturazione del ruolo degli Stati, la preminenza della finanza sulla politica e sull’economia, oggi è persino in crisi l’Europa. A 30 anni da allora, oggi il rischio è una vera e propria destrutturazione sociale che impatta con violenza in particolare sui giovani, la nuova generazione che ha per bussola lo smartphone. Padre Ochetta ricordava che in Italia sono già 50 mila i cosiddetti ‘hikikomori’, gli adolescenti cioè che si chiudono nella loro camera, rifiutando la scuola e le relazioni reali per senso di inadeguatezza rispetto agli standard sociali, perché non hanno lavoro, ma si relazionano con il mondo dalla loro camera solo attraverso gli smartphone e il web. Forse è un caso, forse no, che in queste settimane uno dei brani musicali più ascoltati e scaricati porti la firma di una diciassettenne appena uscita dal successo di X Factor e un titolo ‘Cherofobia’, che vuol dire la paura della felicità, di cercarsi e ritrovarsi al di fuori della propria stanza.

Nella lotta tra egoismo e speranza, in mezzo c’è la grande sacca della rassegnazione. E’ questa la cifra di questa difficile stagione italiana. Che è inedita, non paragonabile ad alcuna fase storica succedutasi da 70 anni. E’ l’epoca della rivoluzione digitale dell’algoritmo, che si nutre della rassegnazione e delle solitudini, per trasformare appunto le persone e i cittadini in clienti e elettori.

Pochi mesi fa Luciano Ligabue, nel suo ultimo film ‘Made in Italy’, fa dire al personaggio principale: ‘La casa…mio nonno l’ha tirata su, mio padre l’ha allargata, io adesso non ho lavoro, cerco solo di venderla e non ci riesco!’. Una fotografia della realtà della rassegnazione, che marca bene il senso di precarietà, il vivere appunto un eterno presente del mondo d’oggi.

 La sfida radicale delle città, delle città italiane, di Rimini, è quella di proporre un modello alternativo a questo ‘Truman Show’ digitale, ricostruendo luoghi e spazi di corrispondenze materiali, piattaforme umane, piazze, contro la virtualità di connessioni senza relazioni. Una città che propone piazze e non algoritmi.

‘Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone’. Inaugurando il teatro abbiamo ricordato Italo Calvino de ‘Le città invisibili’; ampliando poco dopo il concetto che diceva ancora:  ‘Ogni volta che si entra nella piazza ci si trova in mezzo ad un dialogo’.

Penso a Sergio Zavoli, classe 1923, quando ride della sua età e dei suoi piccoli vuoti di memoria. Magari perdessimo colpi come lui. Lo rincuoro e lo saluto. Ce li abbiamo tutti, ce li ho anch’io. I suoi sono piccoli vuoti di memoria dentro enormi verità. E proprio in questi vuoti, dopo le fatiche, i fardelli di questi anni di lavoro che si scaricano sempre più sui Comuni, proprio oggi appare chiaro e nitido il perché del nostro fare, l’obiettivo dell’ Amministrazione Comunale. Non rassegnarci, non lasciar far prevalere l’algoritmo. Ma fare piazze.

Dobbiamo costruire scuole e teatri, dobbiamo ridare dignità ai luoghi della nostra vita e della nostra storia. Le piazze fanno incontrare le persone, le fanno incrociare fisicamente. I teatri sono piazze dove arrivano linguaggi, punti di vista da tutto il mondo. Ridando bellezza e dignità agli spazi che ci circondano, torniamo a consegnarci alla libertà, a uno sguardo di speranza che abbatte muri, pregiudizi, confini. E che ci proietta in Europa, nel mondo. Proprio così: in Europa e nel mondo, orizzonti che scatenano reazioni inconsulte nei custodi della paura e dell’autarchia, dell’io basto a me stesso.

“Il nostro cervello, d’istinto, ci invita a distogliere l’attenzione dalle nostre colpe e a proiettarle sugli altri. Lo scontrino che non facciamo, il lavoro che non fatturiamo, la carta che gettiamo a terra, il treno che sporchiamo, sono tutte attività a nostro giudizio conseguenti dell’inefficacia del lavoro dello Stato nel nostro paese… Così si è deciso, magari spinti dall’algoritmo che te lo dice, che siamo schiavi della Germania. Parlandone al bar nessuno riesce a spiegarsi il perché, se non adducendo a Berlino maggior ricchezza e occupazione, come se i meriti altrui fossero sempre la conseguenza di un furto”. Lo ha scritto Antonio Megalizzi, il ragazzo italiano ucciso pochi giorni fa in un raid terroristico a Strasburgo. E’ uno dei tanti ragazzi italiani che ha combattuto paura e rassegnazione con il sogno dell’Europa; è la ‘generazione Erasmus’ che ha nei sogni, nella libertà, nel coraggio, nel rispetto delle regole, nell’assunzione di una responsabilità che non sa mai di alibi, la spinta per realizzarsi.

Questo è il nostro obiettivo. Ci assumiamo la responsabilità di cambiare. Senza alibi, senza dare colpe agli altri, cambiamo la città.

Questo deve essere, per me, l’orizzonte di una città italiana come la nostra. Non una città più italiana, urlata  più per paura che perché ha un progetto forte. Ma una città meglio italiana. Una città meglio italiana è una città europea. Le prime città europee erano italiane, quelle della Roma antica, quelle del Rinascimento. Da 175 anni Rimini è capitale internazionale dell’accoglienza,  perché fondamentalmente cosmopolita e libera. Negli ultimi 70 anni abbiamo riconfermato questo primato. Oggi che i tempi sono quelli che sono è appunto il tempo di scelte per una città libera europea. Si è liberi se si sa. Se no vince l’algoritmo.

Da qui l’investimento crescente del Comune di Rimini per l’attività e l’esistenza stessa del polo universitario. Questo investimento è a tutti gli effetti una surroga per chi si è sfilato senza neanche dare tante spiegazioni. L’ex-mutua, la colonia Novarese, il Lettimi, la cittadella universitaria, il polo tecnologico, Unirimini. Per noi sostenere l’ateneo, i 5 mila studenti che lo frequentano, significa opporci al deserto dando una direzione precisa alla città. Per altri così non è. Non è una polemica ma una constatazione oggettiva. Per Rimini la conoscenza, la generazione Erasmus sono le basi da cui ripartire per provare a vincere il braccio di ferro con rassegnazione e cinismo. Non so se ce la faremo. Ho dei segnali che conservo nel mio cuore, raccolti durante questo 2018. La restituzione del teatro e l’emozione collettiva che ciò ha generato è tra i più preziosi. Non è solo un’opera pubblica, un servizio aggiuntivo che mancava, ma la camera più nobile del nostro sentimento identitario. Riminese italiano europeo. Proprio come Verdi che da Rimini andò a S.Pietroburgo e in tutta Europa. Perché qui dentro si fa, si produce, si respira cultura. E su questo prodotto stiamo aggregando gli elementi indispensabili per farne un cibo dell’anima e un cibo concreto. Lavoro, dignità, creatività grazie al teatro, al castello, al museo Fellini, al mare in salute, a un modello di sviluppo che vuole confermarsi vincente grazie alla qualità. Nel 2019 si avvierà alla fase finale il Piano di Salvaguardia della balneazione, che a tutti gli effetti è il programma di opere pubbliche più ambizioso e complesso mai messo in piedi da questo territorio. In primavera sarà completato l’intervento più consistente, in piazzale Kennedy. Io lo paragono a un albero, fortissime radici che non si vedono ma che sostengono un tronco e fronde verdi, bellissime. In altre parole, acque pulite. Su questa matrice si innesteranno negli stessi mesi i lavori per i primi due tratti di parco del Mare Sud e di tutto il Lungomare Nord da Torre Pedrera a Rivabella, Governo permettendo. Cominciamo con i lavori di competenza pubblica, ai quali seguiranno le riqualificazioni della componente privata. Anche i nuovi Lungomare sono piazze, luoghi per relazioni, cieoè comunità. Sono piazze anche e luoghi di relazioni i sottopassi ciclopedonali sotto la SS16. Noi ci siamo. Per essere città di piazze e relazioni. Ora lo Stato, l’ANAS, la Società Autostrade facciano da subito i lavori che spettano loro, perché Rimini, che ha deciso di esserlo, sia davvero una città europea.

Il mio invito è sempre quello, rivolto a chi ha legittimi interessi propri e di comunità: credete in questo progetto perché dalla sua riuscita dipende un bel pezzo di futuro a 50 anni di Rimini. Non il mio o di qualche presidente o assessore. La mia personale considerazione, all’approssimarsi della parte conclusiva del mio mandato da sindaco, è quella che non mollerò un centimetro fino all’ultimo giorno pur consapevole che il ruolo di sindaco è tra i più difficili e negletti. Sui Comuni, come detto da tutti i Sindaci di tutti i colori all’Assemblea Nazionale dei Comuni Italiani tenutasi a Rimini, si scaricano tutti i bisogni delle persone e la quasi totalità delle responsabilità, del passato, del presente e del futuro. Abbiamo tenuto botta, proveremo a farlo. Ho cominciato nel 2011 con tanti che mi dicevano ancora e ancora la frase “Non è così facile”. “Non si può fare”.  È così che ti portano a rinunciare. La verità è che se tu fai la cosa che ti dicono che non si può fare, a quel punto è fatta. Se faccio un bilancio, la prima cosa che mi viene in mente è quello che resta da fare. Perché tutti noi lo dobbiamo a noi, ma soprattutto lo dobbiamo a chi ci sarà dopo di noi. Come facevano i nostri nonni che si occupavano dei loro figli, che erano i nostri padri e pensavano a noi. Questa città avrà sempre rispetto e aiuto dei nonni. Ma il nostro dovere è pensare ai nostri ragazzi, ai giovani, quelli di oggi. Questa città, questo cambiamento sarà per loro anche la loro valigia, perché restino qua. Questa città, il suo cammino, il suo viaggio, il suo paesaggio è e sarà sempre di più per i ragazzi che sono alle medie, fanno le elementari, un liceo, hanno iniziato l’università, è una città concreta, fisica, dove ti vedi, ti incroci. Una città che certo vede i suoi ragazzi con lo smartphone, ma liberi dal controllo dell’algoritmo. Una città che sulle piazze rifonda la sua comunità, sulle relazioni tra le donne e gli uomini che la vivono.

Questo viaggio di una città italiana e visibile che si chiama Rimini è dedicato alla generazione Erasmus, alle diciassettenni che hanno paura della felicità. A Rimini. Sì, proprio a Rimini. La città del miracolo turistico e del sorriso, del ‘fare stare bene l’ospite’ di Elio Tosi; la città della creatività, della poesia quotidiana di ERON. La città del teatro Galli e delle contraddizioni. Non è un film il nostro, è la storia del nostro “Made in Rimini‘. Siamo fatti della nostra piccola città, dei suoi muri, delle storie che sappiamo di lei e di altri come noi. Siamo fatti di quell’aria lì’. Sì, dell’aria di Rimini, città italiana libera e europea.

Lascio ora la parola ai nostri Sigismondo d’Oro 2018. Vedrete che, per la prima volta, è stato messo in campo uno strappo alla regola del cerimoniale. E’ un piccolo cambiamento anche questo. Ringrazio Elio Tosi, lo stile fatto persona, il grande cuore di Rimini che si fa professionalità e amore a servizio dell’ospite; un pioniere la cui lezione ci arriva anche oggi intatta. Ringrazio ERON, artista internazionale oggi in giro per il mondo ad esprimere la sua libertà, fatta dell’aria di Rimini, con radici saldissime nella sua città Natale.

Infine, consentitemi di  aggiungere un sincero ringraziamento alla comunità riminese, a tutti voi, i cittadini, le imprese, le associazioni, le parti sociali ed economiche, le autorità civili e religiose, le forze dell’ordine per il lavoro e l’impegno, investiti nel 2018 a favore della collettività. Un pensiero affettuoso anche verso chi ci ha lasciato e verso tutti coloro che, persone normali, nel silenzio e senza i riflettori addosso, fanno quotidianamente cose straordinarie, che anche con il Bilancio comunale appena approvato sosteniamo con forza e nonostante i tagli di risorse. Quella Rimini solidale che anche oggi, domani e nei giorni di festa sa che per qualcuno la festa non c’è. Ma gli tende una mano.

E Rimini è straordinaria anche per questo. Sa cambiare, sa investire e non dimentica che c’è anche chi non ce la fa.

Grazie e buone feste.

 

 

 

 

Di seguito le motivazioni e le biografie dei premiati.

 

LE BIOGRAFIE

ERON è considerato tra i più dotati e virtuosi interpreti dell’arte figurativa e della pittura contemporanea internazionale, anche secondo l’Enciclopedia Italiana Treccani. Eron è uno dei più noti esponenti del graffitismo italiano e della street art a cavallo fra XX e XXI secolo. Le sue opere sono state esposte in gallerie e musei di tutto il mondo tra cui: Chelsea Art Museum (New York), Biennale di Venezia, Saatchi Gallery (London), Galleria Patricia Armocida (Milano), PAC - Padiglione Arte Contemporanea di (Milano), MACRO – Museo d’Arte Contemporanea (Roma), Italian Cultural Institute (New York) solo per citarne alcuni. Nel 2016 realizza un’opera dedicata ai migranti dipinta sulla fiancata di un relitto navale dal titolo “Soul of the Sea” dove ritrae alcuni volti di donne e bambini che sembrano dipinti dalla ruggine del relitto stesso. L’immagine dell’opera in poco tempo fa il giro del mondo e viene pubblicata dall’Economist e dal Chicago Tribune come miglior immagine del giorno nel mondo. Nel 2018 Eron ha realizzato quella che è considerata una delle più grandi opere d’arte murale urbana al mondo.

 

Elio Tosi, nato nel 1930, dopo essersi fatto le ossa come barman e cameriere al Dancing Savioli, approda nel 1955 all’Embassy, il locale di Marina Centro tra i più celebri in Italia, con il ruolo di responsabile del bar, ristorante e concerti all’aperto. Dal 1964 al 1968 è al Paradiso, la nuova discoteca di Covignano che anche grazie a Tosi diventa un mito nazionale e internazionale. Nel 1968 torna all’Embassy, trasformando l’American bar con tavola calda in indimenticabile ristorante e luogo meta per 40 anni di riminesi, turisti, cantanti, attori, artisti. Accolti sempre da Tosi con impeccabile eleganza, affabilità, gentilezza, sapienza. Se il musicista riminese Carlo Alberto Rossi ha contribuito a ‘mettere in smoking la musica italiana’, Elio Tosi con il suo stile ineguagliabile ha senz’altro contribuito a mettere in smoking l’accoglienza riminese, di cui è perfetto testimonial. Tra mille aneddoti e altrettante invenzioni nell’ambito della cucina e di tutto ciò che è attenzione verso l’ospite, a Tosi, alla moglie Rita e al loro staff dell’Embassy si deve ‘l’invenzione’ della piadina sottile, detta poi ‘riminese’.

 

LE MOTIVAZIONI

 

Elio Tosi

Imprenditore

Per avere ‘vestito’ di stile, discrezione, cura nei dettagli, creatività, la cultura di accoglienza all’ospite, contribuendo al successo e alla fortuna di un modello di accoglienza turistica che ha garantito benessere e lavoro per la comunità riminese;

Per avere saputo, con la sua famiglia e con i suoi collaboratori, esaltare la tradizione e i saperi delle passate generazioni nell’arte della cucina, tramandandone la ricchezza e l’attualità grazie a un lavoro che ha miscelato artigianalità e ricerca, per promuovere le eccellenze del territorio;

Per essere stato pioniere di un nuovo modo di esaltare Rimini e la sua dimensione internazionale, grazie ai sacrifici, alla gavetta e a un lavoro infaticabile che hanno consentito alla nostra Città di rinascere dopo la distruzione della Seconda Guerra Mondiale.

 

 

ERON

Artista

Per avere concorso alla creazione e alla codifica di innovative modalità artistiche, abbattendo i muri che ostacolavano il dialogo tra la cultura classica e le espressioni della creatività popolare;

Per avere portato l’arte nei luoghi della vita di tutti i giorni, spunti e stimoli sorprendenti per una riflessione inconsueta e uno sguardo non convenzionale dentro la quotidianità delle persone, a Rimini e nel mondo;

Per avere saputo, attraverso l’espressione artistica, costruire un ponte sospeso tra tradizione e contemporaneità, nel nome e per conto di un respiro lirico senza tempo e senza confini, in cui poesia, musica, immaginari, linguaggi diversi, diventano un tutt’uno grazie a una straordinaria abilità manuale e di pensiero.

 

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Ultimo aggiornamento

15/05/2023, 16:42