Sigismondo d'Oro 2014: a Daniele Paci e Gian Luigi Rinaldi la massima onoreficenza cittadina

Sono Daniele Paci e Gian Luigi Rinaldi i concittadini insigniti quest’anno del Sigismondo d’oro 2014, la massima onorificenza cittadina che viene attribuita ogni anno a coloro che attraverso la propria attività celebrano il nome di Rimini, nel corso della cerimonia del “Saluto di Fine anno” che si è svolta nel pomeriggio di sabato scorso nella Sala del Giudizio del Museo della Città alla presenza di tantissimi riminesi e autorità.
Data di pubblicazione

“Due riconoscimenti a persone diverse per storia – aveva detto il Sindaco Andrea Gnassi nell’annunciare la decisione dell’Amministrazione – ma accomunate dallo spirito che unisce la nostra città: il valore dell’educazione e il coraggio delle proprie idee nell’attraversare l’esistenza a testa alta, consapevoli che quello che si fa individualmente ha un effetto su chi sta accanto. Due persone apparentemente molto diverse per età e sfera professionale ma che entrambe nella loro vita e con il loro lavoro, hanno onorato e onorano la nostra comunità.”

Queste le motivazioni

 

Gian Luigi Rinaldi

Per avere trasmesso, in quarantuno anni di insegnamento, i valori dell'attività sportiva a migliaia di giovani, dando così un contributo fondamentale allo sviluppo di una cultura della solidarietà e della fratellanza alla comunità riminese.

Per avere cresciuto, con passione e rigore, numerosi atleti che poi, con il loro impegno in ambito agonistico, hanno dato lustro e onore alla Città di Rimini.

Per essere sempre stato e per essere ancora “il prof” al di là della didattica, esempio di rilievo nazionale e figura di riferimento per tante ragazze e ragazzi che, in età adulta, hanno trasmesso la stessa passione e umanità ai loro figli.

 

Daniele Paci

Per essere stato tra i principali protagonisti della risoluzione di casi investigativi drammatici e complessi, dall'eco internazionale e nazionale, restituendo giustizia e fiducia nelle istituzioni in chi aveva subito sofferenze e gravissimi torti.

Per avere assunto, sin da giovane, la cultura della legalità come riferimento valoriale, promuovendone lo straordinario significato civico e sociale anche in ambito educativo.

Per avere dato e continuare a dare, con la propria attività lavorativa a tutela della legge, un importante contributo a un profondo senso della giustizia e del servizio allo Stato, alimentato quotidianamente dall'impegno di chi non si accontenta delle scelte comode o scontate.    

Prima della consegna del prestigioso riconoscimento il Sindaco Gnassi ha letto, come consuetudine, il "Saluto di Fine Anno", ripercorrendo i momenti salienti di un anno denso d'attività e tracciando il percorso che l'Amministrazione comunale intende seguire:

Buonasera a tutti voi e benvenuti. Permettetemi innanzitutto di fare gli onori di casa rivolgendo un sincero ‘grazie’ a Daniele Paci e al prof Gian Luigi Rinaldi, cui lasceremo spazio e parola perché sono loro i principali protagonisti di questo incontro.

Da parte mia desidero condividere alcune riflessioni sparse, non tanto sul bilancio amministrativo dell’anno che se ne va; semmai sul punto di una traiettoria più ampia su cui si trova la nostra città. Rimini sta cambiando. Sta cambiando, è un fatto. Come sta modificandosi l’Italia. Ma la fotografia esatta di questo cambiamento non la offre il consueto dibattito, alimentato da eserciti contrapposti, pro o contro a prescindere o per convenienza, sempre più deboli e ossuti.

 

Rimini sta mutando pelle silenziosamente; costantemente; lo si vede girando e stando nella città, toccando cantieri; sta reagendo all’impatto di una crisi economica inusuale per estensione e profondità. I numeri del Paese sono impietosi, drammatici: il 43% dei giovani italiani non ha occupazione, dal 2008 si sono persi mediamente 200 mila posti di lavoro all’anno, il tasso occupazione nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni è passato dal 51 al 39 per cento.

 

Si modifica dunque la spina dorsale stessa su cui si sono rette sinora economia e relazioni sociali ma, come tutte le svolte, il rischio dietro l’angolo è quello di essere risucchiati dalle nostalgie del passato piuttosto che venire attratti dalle prospettive del futuro. O se non nostalgie, il rischio è fermarsi a una “denuncia dei problemi” o peggio ancora a una rassegnazione. Lo spiega bene Massimo Gramellini in un recentissimo ‘Buongiorno’. “Nel cambio epocale e crisi del mondo La paura e l’avvilimento ci hanno trasformato in una congrega di sconfitti, intrisi di sfiducia nei confronti del futuro e del prossimo, che predicono sciagure e scuotono di continuo la testa, opponendosi per principio a qualsiasi cambiamento. E’ diventato troppo facile, ma anche troppo comodo, raccattare consensi compiacendo la parte più distruttiva e mugugnante di noi stessi”. Bisogna affermarlo senza tanti giri di parole: quello che è stato non sarà più, per il Paese e anche per il nostro territorio. Saremo differenti, non per questo peggiori; il dna del nostro futuro sarà scritto, allora, nello scarto tra tentazione al conservatorismo e consapevolezza del cambiamento. Fatica del cambiamento. Sudore giorno per giorno per interpretarlo e non subirlo, senza attesa della bacchetta magica per risolvere i problemi. Bacchetta magica che magari ognuno di noi dice dovrebbe averla qualcun altro diverso da noi.

 

Di fronte a uno scenario di questo genere, una classe dirigente nuova- nell’etica, nel coraggio- non ha solo il compito e il dovere di ‘fare’.

Non si tratta più, se mai lo è stato, di essere semplici ‘capomastri’ ma di capire, interpretare, condividere, saper difendere un progetto di città e di comunità, che comunichi in tempo reale in e con ogni angolo del mondo. Si tratta di avviare un metodo e un’azione di governo partecipato che abbia tra i suoi obiettivi anche ‘l’educazione al nuovo’, fornendo pazientemente gli elementi più convincenti a abbandonare per sempre una cultura ancora diffusa, che ha paura invece delle novità.

 

Don Milani, all’alba di un altro passaggio delicato per il Paese, scolpì il concetto in una celebre espressione: la politica è uscirne insieme. L’essenza della polis. Polis come città, comunità. Guardo il prof Rinaldi e semplifico: si vince se si gioca di squadra. E in una squadra oneri e compiti sono distribuiti equamente. Nel basket, ad esempio, se è un solo giocatore a tirare a canestro mentre gli altri quattro stanno a guardare, la sconfitta non è probabile, è certa. Magari quel giocatore diventerà capocannoniere, ma il suo team retrocederà.

 

Possiamo trasportare questa filosofia in ogni campo della vita. Una classe dirigente divisa, è individualista e attende. E attendere significa aspettare che altri facciano per te. In queste condizioni il talento avvizzisce, viene mortificato. Guardo ancora al professor Rinaldi che di queste situazioni ne ha viste a migliaia nel suo lungo insegnamento della pallacanestro. Il talento naturale: magnifico, insuperabile; e tale è il talento naturale fino a quell’età in cui esso a un certo punto non basta più e va alimentato attraverso durissimi allenamenti e pesanti sacrifici. Se scatta il ‘clic’ dell’etica della fatica abbiamo il campione, l’eccellenza; l’eccellenza a disposizione delle fortune della squadra; altrimenti se non c’è la fatica si resta in attesa dell’esplosione sine die delle doti naturali. Per un anno, due, tre, poi una carriera, infine l’amara consapevolezza che l’attesa- e non il lavoro- producono lo spreco più irritante; lo spreco, appunto, del talento.

La sfida, quella di don Milani e del ‘prof’, la nostra sfida di classe dirigente riminese è prima di tutto educativa: ritrovare le ragioni per dirsi e fare squadra, perché questa è la condizione indispensabile per superare le difficoltà.

 

Perdonate ora la digressione, ma penso al titolo di un film che, penso, sarà piaciuto a Daniele Paci, ‘La mafia uccide solo d’estate’. La frase, apparentemente rassicurante e tesa a minimizzare, pronunciata da un padre al piccolo figlio spaventato dalle notizie degli omicidi di mafia a Palermo, diventa il ‘monstrum’ culturale collettivo che per decenni ‘nutre’ la criminalità, fino al risveglio delle coscienze con la strage di Capaci.

 

Il primo passo per una ri-educazione, del singolo o di una collettività,  è avere il coraggio di dirsi la verità, anche quando essa è ruvida. Rimini già da tempo ha deciso di ‘uscirne insieme’, facendo leva su quello che il professor Stefano Zamagni individua come ‘capitale sociale’. L’operazione Piano Strategico aveva, ha, proprio questo obiettivo: una comunità coesa, al di là dei ruoli e delle appartenenze, per condividere una traiettoria comune e fattibile per un futuro di cambiamento strutturale. Una visione ambiziosa, condivisa, partecipata, abbracciata soprattutto per emendarci, con la forza dell’unità, dagli errori di un passato, causati da individualismo.

 

Per decenni il territorio non ha ‘giocato di squadra’ quando, anche con i silenzi o l’allegria dell’estate, ha rimosso la necessità di provvedere a completare un sistema idraulico e fognario all’altezza di una ‘capitale delle vacanze’. Il Piano Strategico, l’entusiasmo degli Enti locali e delle associazioni, delle parti sociali, dei soggetti informali che lo hanno modellato come creta, è servito pure a mettere in un cassetto quella cultura, cinica, per cui ‘i soldi è meglio investirli sulle opere sopra piuttosto che su quelle sotto, perché non si vedono e allora non creano consenso’. I 160 milioni di euro, tramutati in cantieri in corso, del Piano di salvaguardia di balneazione scaturiscono da quel documento, da quel contesto, che, per la prima volta, abbracciava la difficile cultura della responsabilità lungimirante piuttosto che del facile gradimento, del consumo e del consenso a breve.

 

Lecito allora nel linguaggio di verità chiedersi se il Piano Strategico sia rimasto solo sulla carta. In questo esatto momento, il Piano strategico trova attuazione fattuale in numerosi interventi in atto a Rimini. Cito solo i principali: il già citato piano della salvaguardia della balneazione e del sistema idraulico fognario; il restauro del teatro Galli con il dialogo di una arena e parco urbano tra un gioiello del rinascimento che è Castel Sismondo e Piazza Cavour; la realizzazione della Casa del Cinema e del Museo Fellini; il Masterplan che ha portato al completamento della fluidificazione della Statale 16 Adriatica con gli svincoli e rotatorie con SS12 e strada per Coriano, Montescudo e relativi collegamenti con sottopassi ciclopedonali tra sopra e sotto la Statale; la fluidificazione dell’asse viabilistico mediano; la costruzione di un percorso ciclopedonale sul lungomare; la realizzazione di scuole in quartieri ad alto tasso insediativo come Gaiofana e Villaggio I Maggio; e, prossimamente, la riqualificazione del borgo San Giuliano, con la connessione tra Borgo e Centro storico (come in passato) con la pedonalizzazione del Ponte di Tibero e la creazione della piazza sull’acqua nell’invaso di Parco Marecchia. Bandi per mettere a disposizione di imprese e start up e società luoghi come l’ex cinema Astoria, l’ex macello l’ex area vigili del fuoco.

 

Non spot, non estemporanee trovate, ma pagine dello stesso libro che racconta una storia e disegna una prospettiva di comunità. Certo, è un libro impegnativo, a volte ostico alla ‘lettura’. Ma va detto che i problemi abbisognano spesso di risposte complesse, non si risolvono con uno slogan o con un tweet.

 

L’idea di città elaborata dal Piano Strategico nasce anche per essere un luogo dove condurre discussioni faticose, non superficiali come una malintesa modernità vorrebbe. Velocità non vuol dire per forza non approfondire. Il piano stretegico con il Masterplan è sceso dal sogno al segno. Ora i segni sono cantieri aperti e da aprire. Non è la partenza il difficile, ma la fatica per arrivare al traguardo.

 

Provo a descriverlo con i versi di Niccolò Fabi che canterà a Capodanno: ‘Chiudi gli occhi, immagina una gioia, molto probabilmente penseresti a una partenza… ma tra la partenza e il traguardo, nel mezzo c'è tutto il resto. E tutto il resto è giorno dopo giorno. E giorno dopo giorno è silenziosamente costruire. E costruire è potere e sapere rinunciare alla perfezione’. Vivaci e entusiasti alla partenza della visione strategica ma poi più refrattari a affrontare, ed accettare, la complessità dei processi che portano alla concretizzazione dei progetti, dei traguardi di quella visione strategica. La disillusione e l’opposizione ‘per principio a qualsiasi cambiamento’ sono poltrone più comode sulle quali sdraiarsi.  La partenza del piano avvenne quattro anni fa, ora siamo nel pieno di tre anni di cantieri aperti e della fatica per arrivare al traguardo.

 

 

Quegli sforzi anticipatori della comunità riminese, quel patto ‘transgenerazionale’ sottoscritto qualche anno fa, subiscono i colpi di una crisi vacillano oggi sotto i colpi di una crisi economica senza precedenti che coinvolge tutti i territori, divora imprese, lavoro, benessere. E piccona le dinamiche della rappresentanza tradizionale. Tutte, senza esclusioni. I Comuni paiono quasi le colonne che stanno in piedi sopra millenari ruderi. Costretto a fare da esattore per lo Stato, mutilato nelle risorse (trasferimenti) e perfino nei movimenti (patto di stabilità), abbandonato, vessato, additato, il Comune è comunque l’unica porta a cui si bussa per qualunque genere di problema. La Costituzione, le norme, indicano in un altro soggetto la competenza? Fa niente, ci pensi il Comune. I Comuni hanno la responsabilità ma non l’autonomia per rispondervi. Fa niente. Basti riferirsi al tema della sicurezza e dell’ordine pubblico, dove da tempo lo Stato ha fatto la precisa scelta di scaricare sugli Enti locali- senza mezzi e peraltro disarmati ‘per legge’- il contrasto a macro e microcriminalità e fenomeni ‘sociali’ dalle pericolose potenzialità. Il Comune è il totem cui tutti guardano.

 

 

Rimini ha le spalle robuste e accetta il ruolo, bello e ingrato allo stesso tempo. Non a caso, nel momento stesso in cui lo Stato ‘taglia’ in tre anni 25 milioni di euro, la nostra città reagisce con circa 270 milioni di euro investiti in opere pubbliche tra già realizzate, in corso, progettate. Per dare la dimensione dell’anticiclicità della cosa, è di ieri la ricerca di ANCE nazionale che quantifica nel 48,1% il calo della spesa per lavori pubblici in Italia dal 2008 al 2013. Rimini ha invece immesso e sta immettendo nel sistema locale centinaia di milioni di euro per rigenerare il contesto urbano e garantire lavoro. Come lo ha fatto? Riducendo il debito accumulato di 38 milioni di euro; estendendo garanzie a agevolazioni alle imprese, dalla no tax area al pagamento entro 30 giorni alle imprese per 120 milioni di euro; modificando la soglia di esenzione Irpef, ora la più favorevole per le famiglie riminesi tra i capoluoghi dell’Emilia Romagna; riducendo la pressione fiscale complessiva del 5 per cento dal 2012; allargando la rete del welfare e della protezione sociale.  400 milioni in welfare e servizi in 3, 5 anni.

 

Una sorte di grande paracadute che non sconfigge certo la crisi, ma impedisce la sua deflagrazione, l’azzeramento del tessuto sociale economico riminese. C’è la crisi ma c’è anche Rimini.

 

Questo è avvenuto nei tre anni, nei mille giorni in cui lo Stato centrale, dal canto suo, ha ‘riscosso’ dai cittadini riminesi circa 100 milioni di euro, tra il prelievo diretto del’IMU e quello indiretto del Fondo di Solidarietà Comunale. Magari altri, nella non facile posizione dei Comuni, avrebbero alzato le mani oppure scosso la testa e dire ‘non tocca a noi, rivolgetevi a Roma o a Bologna’. Ci sarebbe da scandalizzarsi? C’è chi lo fa. “La colpa è di questo o quello: dello Stato vorace, di una burocrazia pesante, lenta e imprecisa che settimane fa ho filmato con lo smartphone nella sua estenuante lentezza quando ancora tra ministero dei trasporti, demanio, enti autorità vari ci si era dimenticati di consegnarci un pezzo di lungomare; la colpa a seconda della visuale, della visibilità che si vuole avere, potrebbe essere anche degli sprechi delle Regioni; delle associazioni di categoria mute; delle organizzazioni sindacali che ‘dimenticano’ milioni di lavoratori”.

 

 

Lunedì incontro i lavoratori della Provincia di Rimini, ‘cancellati’ con un tratto di penna da tre Governi in fila, senza che nessuno- tranne qualche sindaco (tacciato allora come difensore di un ente) - fiatasse per timore di un esprimere un’opinione anti popolare. Sono lavoratori a cui si rischia di togliere il futuro, che vivono nell’incertezza provocata da uno Stato, meglio da una tecnocrazia centrale statale superficiale e distratta, perché tanto taglia ad altri e mai a se stessa. Condivido e sottoscrivo in pieno le ragioni della loro protesta, della loro paura. Ma, allo stesso tempo, da pubblico amministratore, devo fare in modo di riallineare il senso del percorso di riordino istituzionale, dell’improcrastinabile necessità di cambiamento che ha obiettivi condivisibili, con le categorie della razionalità, visto che ora siamo al caos assoluto. Non posso limitarmi a dire ‘è colpa del Governo’ o di chissà chi, e poi scaricarmi la coscienza per cercare facile consenso. Mio dovere, e dovere di ogni componente la classe dirigente, è invece caricarmi la responsabilità del problema in tutta la sua complessità. Coraggio, responsabilità nella complessità.

 

Proprio perché si è condivisa la necessità ‘di fare squadra’, abbiamo imboccato la sola strada che non sia un vicolo cieco. Cinque anni fa ci riconoscevamo nella frase ‘una botta d’orgoglio’. Adesso cambiamola in ‘uno scatto d’orgoglio’, ritrovando le ragioni nella promozione della comunità e non nella retrocessione negli interessi di parte. Rimini non può più permettersi il lusso di una classe dirigente che fa l’elastico tra il passato e il futuro, tra i sogni e la realtà, tra la nobiltà delle intenzioni e la convenienza personale. Si è scelto di dire ‘basta al mattone’, ai 15 mila alloggi sfitti in provincia? Allora perché tornare indietro? Sicuri che il nostro domani stia nel ripercorrere i passi (e i guasti) di ieri? L’innovazione’ non è un comunicato stampa. Conosco personalmente decine di giovani, imprenditori riminesi (non solo giovani, ma anche giovani) che meriterebbero di essere indicati ad esempio civico per avere aggredito e vinto la concorrenza internazionale, credendo e investendo su un’idea legata alla tecnologia, al tessile di qualità, alla vacanza e alla commercializzazione nel mondo contemporaneo, alle energie alternative.

 

 

E’ possibile che sul nostro territorio solo un’impresa su quattro sia dotata di reparto ‘ricerca e sviluppo’? Possibile che il progetto di ‘Primo miglio’ per la riqualificazione e il rilancio del lungomare a Torre Pedrera- stimolato dal Piano Strategico e portato avanti da una quarantina di imprenditori e operatori privati- non veda presente neanche un brandello della rete associativa e sindacale tradizionale? Si apre la partita dei fondi europei, dal 2014 al 2020 e 2,5 miliardi sono per la nostra regione.

 

Vinceranno la sfida, conquisteranno risorse, solo progetti a forte contenuto di innovazione e qualità. Da utilizzo dei fondi come ammortizzatore sociale (metto una pezza alla crisi), a fondi che alimentano filiere produttive. La rigenerazione di un waterfront, di un lungomare alimenta le filiere produttive.

 

Muovendo dal Masterplan urbanistico e dalla pianificazione strategica Rimini ha detto no a progetti di trasformazione dei lungomare centrati su modelli post dubaisti, firmati da archistar incentrati sulla rendita immobiliare – ti faccio un pezzo di lungomare in cambio di 400 appartamenti sul mare in mezzo ad un iper commerciale.

 

Sui waterfront di Rimini metteremo altre funzioni, il progetto Parco del Mare con palestre site specific e funzioni legate al benessere, il movimento, i servizi alle persone, visione e progetti che fanno dialogare mare e lungomari liberi da auto, traffico, senza rendita immobiliare legata al nuovo residenziale.

Sono progetti concreti, elaborati col Piano strategico e alimentati da energie dal basso; promossi dal tessuto da decine e decine di imprese. Dal Consorzio del porto, da aggregazione di imprese a Miramare, da gruppi di imprenditori a Viserba e Marina centro. Imprese che guardando all’innovazione, ai cambiamenti del mondo e a partire dalla condivisione di una visione progettuale mantengono carattere e identità del territorio e riqualificano se stesse con tecnologie avanzate e materiali ecosostenibili.

 

Come e quanto la regione interpreterà e sarà vicina a questi processi, esperienze dinamismi? Quanto è disposta a guardare a processi di trasformazione urbana che promuovono innovazione tecnologica di processo e prodotto delle imprese, progetti che hanno con sé il non consumo del territorio e l’ammodernamento delle imprese turistiche? Rimini qui apre la sua sfida alla Regione. Ci siamo e siamo innovativi.

 

Oggi abbiamo progetti e procedure pubbliche e progetti promossi da  soggetti sono che sono persone, individui, lavoratori, imprenditori che hanno condiviso e sono disposti ad investire, che sono interlocutori dinamici del Piano strategico riminese. Non siedono a tavoli, non hanno rappresentanti. Ci fosse non dico un tavolo, ma una sedia per quei protagonisti dinamici (soggetti, imprenditori…) chiamati a confrontarsi. Non bastano i soliti tavoli codificati in tempi di cuna società che non c’è più. In questa società di oggi le porte vanno aperte. E’ questa la posizione di un pericoloso attentato alla concertazione?

O è piuttosto la necessità di riconoscere chi non è riconosciuto, di affiancare chi fa e vuol scommettere?

 

Non ci può essere un tavolo e basta: Comune – associazioni - parti sociali. Ma ci sono, è un fatto, decine di tavoli, di luoghi. Perché ci sono imprenditori e lavoratori che scommettono anche fuori da quei tavoli. Non faccio polemica sterile, sarebbe non tanto inopportuna, ma facile e inutile.

 

Bene, se tutti noi vogliamo riconnetterci con la società, con chi si dovrebbe rappresentare, facciamo sentire un idem sentire, difendiamo, sosteniamo questi progetti nelle centrali di smistamento delle risorse. A Bologna per l’utilizzo dei fondi europei. A Roma per far incrociare i nostri progetti con la legge di stabilità e sviluppo. Nel sistema del credito, per portare le banche a crederci e darlo.

 

Mi inorgoglisce ma non basta che Rimini abbia acquisito un certo rango regionale e nazionale. La forza e l’innovazione dei progetti sulla balneazione hanno ottenuto risorse nazionali e regionali.

Ma non basta il Comune, un’istituzione.

Gli industriali e le categorie economiche e le parti sociali bolognesi, emiliane e persino romagnole sono capaci insieme di difendere i progetti dei protagonisti della loro comunità, come quelli di cui parlavo, sui tavoli regionali e sui tavoli delle loro rispettive associazioni.

Allora facciamo non un patto, non un tavolo, ma una scommessa: sosteniamo istituzioni, categorie e parti sociali, sosteniamo i progetti nati dal basso di imprenditori e lavoratori, progetti figli della visione strategica, sosteniamoli in Regione, a Roma insieme: troveremo risorse e anche le ragioni di una nuova rappresentanza.

Fare squadra è abusato, ma oggi se non si fa su progetti concreti perché ottengano risorse e benzina nei luoghi dove ci sono risorse e benzina saremo perdenti.

Se continueremo nella nostra lunga storia di distinguo e divisioni saremo deboli, dove invece potremmo essere i più forti per le proposte che abbiamo.

Non è rivendicazionismo verso Bologna. Ma al contrario la forza di progetti riminesi indispensabili alla città e utili all’intera regione. Ecco il punto, un messaggio che vorrei dare a categorie economiche e parti sociali: il treno e la macchina sono più veloci di tavoli aperti a Rimini. Saliamo assieme su quella macchina e su quel treno per agganciare a Roma o a Bologna le risorse per concretizzare quei progetti che vengono dal basso. A cui affiancare le nostre risorse riminesi.

Cambia il mondo. I terreni dell’ex Fiera dovevano alimentare il piano economico finanziario della nuova Fiera. Per due volte all’asta. Risultato zero risorse, nessun acquirente. Previste case e auditorium. Abbiamo avuto il coraggio di cambiare. Abbiamo contestualizzato l’area dentro l’Anello verde, cuore della città. Variante urbanistica con meno cemento (-68% di metri cubi). Più verde, più parco, più servizi, direzionale residenziale equilibrato, commerciale al massimo di 2500 metri quadrati, non un iper. Area venduta a 16,7 milioni. Produttività  e investimenti per 70. Lavoreranno centinaia di persone. Completerà un quartiere che sarà tra i più belli di Rimini.

 

Tra qualche giorno chiamerò associazioni, istituti bancari, sindacati per illustrare gli stralci di intervento dei nuovi lungomare, a cui dare l’avvio tra procedure e cantieri in questa primavera 2015. Per rendere concreto il nuovo Parco del Mare serve davvero investire, e investire soldi veri, nell’innovazione, nella tecnologia, nella creatività (Fai Bene). In tutto quello che il Piano Strategico indicava per la componente privata: riusciremo a dargli gambe, nel nome di uno spirito di comunità che deve ragionare appunto da comunità? La risposta la troviamo in ciò che è successo per l’area ex Fiera.

 

Un pensiero trova le risorse. E un pensiero che trova risorse è prima di tutto un pensiero educante, è un fatto morale e civico.

 

Non è una coincidenza ma semmai l’omaggio a una città che celebra oggi in Daniele Paci e Gian Luigi Rinaldi i suoi valori comunitari se, negli ultimi dieci giorni, a Rimini hanno aperto una nuova scuola con laboratori e palestre per il movimento che ospiterà più di 300 bambini e un punto di ascolto e informazione per il contrasto alla criminalità organizzata e alle mafie. Non dico ‘di qui dobbiamo ripartire’ ma ‘da qui dobbiamo continuare’: a investire nell’educazione realizzando le scuole là dove servono, in un programma di ‘rammendo delle periferie’ che vuole arruolare la bellezza e la funzionalità contro il degrado, l’insicurezza, lo spaesamento; a guardare con la schiena dritta a quello che sino a poco fa non tutti volevamo vedere, e cioè che non esistono isole immuni dalle tentazioni o dalle minacce del malaffare. Credo che siano due luoghi da cui tracciare una linea, poi un perimetro, per disegnare la città che vogliamo, restituendola a chi verrà dopo di noi più bella di come ci era stata consegnata. Era il senso del giuramento dei giovani ad Atene: ‘Mi batterò in difesa delle cose sacre e delle leggi, sia solo che tra molti; non lascerò la patria sottomessa, ma più numerosa e valorosa di quanto l’abbia ricevuta’. Una città coraggiosa e non impaurita, una città consapevole e non superficiale, una città convinta e non disillusa, una città che conta tra i suoi figli un uomo di legge che conduce tutta la sua vita con profondo senso di giustizia, a Rimini come a Palermo; e un ‘prof’ inflessibile per quanto amato, che tra un rimprovero e una carezza, insegnava che migliorare significa alimentare il talento con il lavoro e non aspettare un miracolo o chissà chi.

 

Lascio la parola a Daniele Paci e Gian Luigi Rinaldi. Voglio ringraziare tutti voi, e tutti i cittadini, le imprese, le associazioni di Rimini, le parti economiche e sociali, per avere contribuito a tenere la barra a dritta anche in un anno particolarmente complicato e anche di denso dibattito. Siamo una comunità e, nella sostanza, stiamo reagendo da comunità. La paura, il cambiamento, sono due facce della stessa medaglia. Ne prenderemo una, quella del cambiamento. Non per subirlo, ma per dargli la rotta. E senza paura, come si vede da qualche cartellone qua e là, fileremo dritto.

Grazie davvero. Buone feste.

 

 

Sigismondo d’oro 2014 – le biografie

Gian Luigi Rinaldi è nato a Novafeltria il 5 settembre 1934. Nel 1953 ha conseguito il diploma magistrale ed in seguito ha frequentato l’ISEF a Roma diplomandosi nel 1956.

Si è sposato nel 1961 con Rosanna Zolini ed è padre di tre figlie Gloria, Sonia e Mara.

Ha iniziato l’attività di insegnante di Educazione Fisica a Rimini nel 1956 e dal 1959  ha svolto la propria professione alla Scuola media n.1 “A. Panzini” fino al pensionamento avvenuto nel 1997.

Durante questo periodo ha organizzato gruppi sportivi, scolastici e non, coinvolgendo i ragazzi delle scuole medie in varie discipline sportive: dall'atletica leggera alla pallavolo alla pallacanestro fino alla pallamano e all'hockey su prato. Ha raggiunto più volte il girone finale Nazionale con il Gruppo Sportivo scolastico del Basket.

Per oltre 40 anni, è stato prima Delegato e poi Presidente del Comitato provinciale della Federazione Italiana Pallacanestro occupandosi di vari compiti e ideando e organizzando l'insegnamento della pallacanestro nelle scuole elementari della Provincia di Rimini.

Dal 1960 al 2002  ha svolto l’attività di allenatore di Pallacanestro della principale Società sportiva cittadina, ora Crabs.

Per decenni ha organizzato tutto il settore giovanile del basket riminese. Nel 1972  ha allenato la Prima Squadra riminese dell’allora “Polisportiva Libertas Rimini” portandola alla promozione dalla serie C alla serie B ed in onore di questo evento così importante per la città di Rimini e per tutto il Basket  locale la Libertas gli ha donato una medaglia d’oro.

 Nel 1974 , anche per avviare le tre figlie al basket, ha fondato una squadra femminile che è all’origine dell’attuale società sportiva “Happy Basket”.

Dal 1974 al 2012  ha organizzato il settore Mini-basket dei Crabs ed ha continuato ad allenare bambini, ragazzi ed adolescenti e tuttora si mantiene nell'ambiente trasmettendo la sua passione cestistica ai bambini della scuola materna .

Come insegnante ed istruttore di pallacanestro ha allenato migliaia di ragazzi: tutti sono nel suo cuore e tra questi una cinquantina di giocatori sono arrivati a giocare in serie A. Due i più conosciuti: il compianto Luciano Vendemini e Carlton Myers.

Ha amato uno per uno tutti i suoi alunni, come pure i suoi giocatori: proprio come insegnante vuole essere riconosciuto: “Insegnante di valori e di vita oltre che di sport”.

Daniele Paci è nato ad Arezzo il 7 settembre 1959 e la  sua famiglia d’origine si è trasferita nella nostra città nel 1962. Primo di cinque fratelli, ha frequentato l’istituto tecnico Roberto Valturio.

Nell’ottobre 1982, dimessosi dal Consiglio  Comunale di Rimini, assemblea in cui era stato eletto due anni prima, si è iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Bologna,  Ateneo presso il quale, nel luglio del 1986, si è laureato con lode. 

Si è sposato nel 1990 con Mariagrazia Zangoli ed è padre di Eleonora nata nel 1994.

Nominato magistrato nel marzo 1990 ha ricoperto il primo incarico,  nella qualità di Sostituto Procuratore, presso la Procura della Repubblica di Rimini.

Nel corso degli anni '90 si è occupato di numerosi procedimenti e indagini tra i quali sinteticamente si ricordano: il procedimento denominato “Romagna Pulita” in cui vennero sottoposti a misura cautelare 102 indagati, l'individuazione degli autori dell'omicidio di Roberto Maranzano avvenuto all'interno della comunità terapeutica di San Patrignano, le indagini relative all'omicidio di Giovanni Pascale (giovane ucciso da un agente della polizia stradale). Con il collega Paolo Gengarelli ha coordinato  le indagini relative alla cosidetta “truffa del marmo nero” che causò alle parti offese un danno complessivo di circa 60 miliardi di lire e con la collega Paola Bonetti l'indagine “Long drink” relativa ad una associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti in danno dell'erario che portò all'emissione di oltre 60 misure cautelari nei confronti di importanti imprenditori romagnoli,  veneti e della Repubblica di San Marino.

L’indagine  più rilevante  che ha  condotto è quella culminata con la cattura dei fratelli Savi e dei loro complici noti come i killer della “banda della Uno bianca”. Ha diretto un gruppo investigativo di cui facevano parte l’ispettore Luciano Baglioni e dall’assistente  capo Pietro Costanza, ufficiali di polizia giudiziaria che nel novembre 1994  individuarono Fabio Savi. Individuati i componenti della banda, ha contrastato, disponendo oltre duecento accertamenti, la tesi per la quale la banda avesse operato per conto di altre “entità”. Le sentenze definitive emesse dalle  Corti di Assise di Bologna, Pesaro e  Rimini hanno escluso il concorso di persone rimaste ignote nei delitti commessi dai fratelli Savi. Al termine delle indagini è emerso che la banda criminale, tra il giugno del 1987 e l’ottobre del 1994,  agendo nelle province di Bologna,  Forlì, Rimini, Ravenna  e Pesaro ha cagionato la morte di 23 persone e il ferimento di oltre cento.

I fratelli Savi e i loro complici nella nostra provincia,  oltre ad aver commesso 27  rapine ai danni banche, supermercati, uffici postali e distributori di benzina, hanno ferito gli agenti della Polizia di Stato Luigi Cenci, Addolarata Di Campi e Antonio Mosca, quest’ultimo deceduto qualche mese più tardi, ucciso la guardia giurata Giampiero Picello e ferito altre sei persone nel corso di una rapina ad un furgone portavalori presso il supermercato coop di Rimini, attentato alla vita di Vito Tocci ,  Nino De Nittis e Marco Madama, Carabinieri della stazione di Miramare,  tentato di uccidere il direttore dell’ufficio postale di Riccione Aniello Di Martino e il figlio Luca, ucciso i due cittadini senegalesi Ndiaye  Malik e  Babou  Cheikh e tentato di uccidere il loro connazionale Diaw  Madiaw,  ferito tre ragazzi di San Vito,  Maurizio Cavalli, Mirco Montalti   e Mirco Savioli ed, infine,  tentato di uccidere gli impiegati di banca Torri Fiorenzo e Vandi Luigino.

Ha ricoperto il ruolo di Giudice per le indagini preliminari e del dibattimento presso il Tribunale di Pesaro dal settembre 1999 all’ottobre del 2011 e in quel periodo ha redatto la sentenza su una banda di criminali russi, condannati per associazione mafiosa,  per delitti commessi nei circondari di Pesaro e Rimini.

In servizio dall’ottobre 2011 presso la Procura della Repubblica di Palermo, oltre a numerosi procedimenti in materia di reati contro la Pubblica Amministrazione,  si  è occupato di indagini relative alle famiglie mafiose operanti nei territori di Bagheria, San Giuseppe Jato e Partinico.

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Ultimo aggiornamento

15/05/2023, 17:02