Una trentina le persone transitate, 17 quelle attualmente ospitate, l’obbiettivo è superare quota 20. Un progetto unico nel suo genere, nato nel 2013 con quattro o cinque persone, e cresciuto gradualmente fino a diventare oggetto di interesse di grandi capitali europee, come Dublino ed Amsterdam, dove Rimini è stata chiamata ad esporre la propria esperienza.
“Ryan, un senzatetto dorme su una panchina di Birmingham – Gloria Lisi, assessore alla protezione sociale del Comune di Rimini, parte apparentemente da lontano per spiegare il cuore del progetto - A immortalare una scena, così tristemente simile a quelle in cui ci imbattiamo tutti i giorni, c’è però l’occhio di Banksy. Nascono così, improvvisamente, sui mattoni rossi dietro la “panchina di Ryan”, due renne che, assieme ad essa, forma una sorta di slitta immaginaria su cui il senzatetto, ripreso di nascosto, si stende per superare la gelida notte invernale. Da quando il video dell’opera è stato postato su Instagram , ha raggiunto in poco tempo un milione di like. Ma il punto non è questo, bensì il valore politico e simbolico creato da quest'opera. Un messaggio di solidarietà, di denuncia, ma anche di amore verso quegli "ultimi" che sono sempre in mezzo a noi, senza che noi, occupati da altro, ce ne rendiamo conto. Ecco, come Ryan ci sono Eugenio, Anna, Teresa, Michele e tutti i diciassette senza fissa dimora attualmente coinvolti nel progetto Housing First di Rimini”.
Cos’è l’Housing First
“Un cambio di prospettiva – continua la Lisi - apparentemente semplice, ma decisamente radicale, un pò come nell’opera di Bansky. Un nuovo modello di intervento per il contrasto alla marginalità grave che inverte i canoni formali dell’assistenza, partendo da dove solitamente si termina, dando cioè abitazione ai senza fissa dimora stanziali sul territorio ovvero, autonomia e fiducia. Nel 2011, quando ho ricevuto l’incarico di assessore alla protezione sociale della mia città, ho pensato come prima cosa ai poveri, gli ultimi. È da come si pensa a queste persone che si è in grado di percepire la reale ricchezza di una comunità. Ho trovato doveroso, anche per la mia formazione culturale e religiosa, mettere loro al primo posto di un welfare che non doveva passare da assistenza reiterata a vita, a piccoli interventi mirati ad una ritrovata autonomia, personale, sociale e lavorativa. Nel 2013 ho conosciuto il modello dell’Housing First, mi sono appassionata e ho studiato insieme ai tecnici come trasformarlo in una realtà all’interno del nostro Comune. Non c’erano precedenti, Rimini è stata la prima a sperimentarla, e oggi sono in tanti che ci chiedono come abbiamo fatto, per iniziare la stessa strada. I numeri non possono essere enormi, perché il rapporto fiduciario richiede tempo e pazienza. È la qualità del tempo e della relazione che mettiamo al centro del nostro servizio”.
Riappropriarsi dello status di cittadini
Dando ai senza fissa dimora una casa dove vivere, si offre la possibilità di riappropriarsi dello status di cittadini, sia dal punto di vista strettamente amministrativo (molti di loro sono infatti senza residenza, tessera sanitaria, assistenza), che da quello più generale di sentirsi membri di una comunità. La casa come punto di partenza, in estrema sintesi, di un percorso individuale verso l’autonomia. Tra i senza fissa dimora transitati nel progetto, c’è chi ha riscattato il proprio stato di salute, chi si è disintossicato, chi ha trovato la forza di riallacciare rapporti famigliari e chi ha potuto per la prima volta ottenere assistenza sociale e interventi sanitari. Il presupposto è che le persone, anche in situazione di disagio forte, abbiano le risposte per sviluppare un progetto di vita sano. Con un giusto aiuto possono ritrovare la fiducia in se stessi e responsabilizzarsi.
“È stato dimostrato – riprende la Lisi -come il passaggio dalla strada alla casa rompe il circolo vizioso creato dall’ impotenza: un ambiente sicuro stimola la volontà e il cammino di riscatto. Sono stati una trentina quelli transitati dal progetto, ognuno con la propria storia; c’è chi è uscito e si è rifatto una vita, trovando nell’autonomia ritrovata la forza per un nuovo progetto di vita, anche lontano da Rimini, chi è rimasto in casa ed è stato inserito in un percorso occupazionale, chi è riuscito, alla fine di una vita di stenti, a ricevere la pensione ed è tornato ad una vita in società. Non sono storie di Natale, ma impegni che portiamo avanti tutti i giorni, per questo voglio ringraziare il Sindaco e le due Giunte con cui abbiamo creato e fatto crescere questo progetto. Spero però, come è successo per le renne di Bansky, che il periodo natalizio renda più sensibili e ricettivi i cittadini riminesi. Il partecipare e darci una mano. Sarebbe davvero un bel modo di festeggiare il Natale”.
(In alto: l'opera di Bansky)