Tra le sale che verranno realizzate vi è anche quella dedicata al mago Fellini, all’alchimista Fellini, al Mandrake del cinema mondiale: un’intera installazione in forma di stanza al secondo piano del cinema Fulgor.
Un rapporto quello tra il regista riminese e il mistero, l’occulto oggetto in queste settimane di rinnovato interesse grazie all’uscita di testi , volumi e documentari proprio incentrati sul legame tra Fellini e la magia.
Fellini era attratto da maghi, indovini, veggenti, medium e di molti fece conoscenza diretta, a metà anni sessanta, durante un viaggio di preparazione a Giulietta degli Spiriti, il suo film più allucinato, surrealista e junghiano. Di quel viaggio restano alcuni Misteri d’Italia pubblicati sul Corriere della sera da Dino Buzzati, che lo accompagnò in quel giro “pauroso” e con cui condivideva questa fascinazione.
Tra gli incontri più sconvolgenti quello con Pasqualina Pezzola, la contadina veggente di Civitanova, con zio Nardu, il vecchio pastore sardo che si trasformava in cavallo e soprattutto con Gustavo Rol, il colto, raffinato collezionista e antiquario torinese dotato di poteri straordinari e capace di smaterializzare gli oggetti. Rol e Buzzati figure decisive anche nella gestazione e nell’abbandono del “Viaggio di G. Mastorna”, il film mai fatto più famoso della storia del cinema: il primo, che lo dissuase a persistere nel progetto; il secondo, dal cui racconto Lo strano viaggio di Domenico Molo, tutto prese avvio.
Buzzati incrocerà ancora il Mastorna, trasponendone alcune sequenze tratte dal trattamento nel suo Poema a fumetti, il primo graphic novel della storia del fumetto. Il paranormale, al pari del sogno e della follia, rappresentava per Fellini una specie di soglia, di stargate da cui accedere ad una dimensione ignota, segreta, inconscia della vita, a quella dimensione che nutre la creatività e l’immaginazione. In questa attrazione c’era molto anche dell’insegnamento di Ernst Bernhard, lo psicoanalista berlinese, che Fellini frequentò da 1960 al 1965 e che fondò in Italia la scuola junghiana. Nelle sue sedute, nel suo lavoro di esplorazione e perlustrazione dell’inconscio, Bernhard ricorreva anche alla consultazione dell’I Ching, l’antico libro sapienziale cinese la cui traduzione lui stesso incoraggiò, o all’astrologia o alla chiromanzia. Tutto si immagina per Fellini, ma soprattutto tutto si tiene, tutto è collegato. Del concetto junghiano di sincronicità Fellini fece innanzitutto uno stile costruendo i suoi film per quadri che si accumulano per analogia, senza nessi causali, che passano gli uni negli altri come quelle esperienze di visioni allucinate di cui fu protagonista il piccolo Federico durante le estati trascorse nel casolare di campagna a Gambettola e che il maturo regista ricorderà nella Voce della luna: i rintocchi di una campana o i muggiti di una mucca che si trasformano in dischi d’argento o in nastri rossi; i quattro angoli del letto, ribattezzati con i nomi dei quattro cinema di Rimini (Savoia, Sultano, Dopolavoro e Fulgor) che fissati a lungo diventano rutilanti alberi di Natale; l’identificazione panica con un pioppo. Questa fascinazione per il magico si esprime anche nella fiducia che Fellini accorda al potere dei nomi: Asa Nisi Masa o lo stesso Amarcord, suoni quasi cabalistici, capaci, prima ancora di indicare mondi, di crearli dal nulla. Il “Cagliostro dello spettacolo” così Tullio Kezich, il più brillante biografo di Fellini, chiamava l’amico, per sottolineare l’importanza imprescindibile di questa componente nel cinema e nell’opera del riminese, una presenza ricorrente anche nel Libro dei sogni.