Amarcord Rimini, quell'atmosfera antica che non vuole passare

La Rimini nel reportage dell'inviato della Stampa Michele Brambilla pubblicato domenica: "Città di villeggiatura, turismo, divertimentificio e distretto d'imprese, ma qui ci si può ancora riconoscere tutti come nel film di Fellini"
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Girare Rimini in bicicletta in compagnia del sindaco fa capire un po` la differenza tra l`Italia che siamo soliti raccontare - quella delle grandi
metropoli e di piazza Affari; del Palazzo e delle dichiarazioni dei portavoce - e l`Italia della provincia, che poi è quella più vicina alla realtà. Il sindaco di una città come Rimini, per dire, non solo lo conoscono tutti, ma tutti lo considerano «uno di noi»: lo fermano per strada, gli chiedono se interverrà alla sagra del rione e come mai in via tal del tali ci sono dei rifiuti per terra; se ha visto quelle scritte sui muri e come va il turismo quest`anno. Lui ha addirittura dato in giro il suo cellulare e a un certo punto l`abbiamo visto rispondere a una signora che lo implorava: signor sindaco sono rimasta chiusa in ascensore, faccia qualcosa.

Il sindaco di Rimini si chiama Andrea Gnassi e ha 43 anni. Dice di credere fermamente in un antico motto: quando tira forte il vento del cambiamento, o tiri su un muro o fai i mulini a vento. Lui naturalmente non è per tirar su un muro: «Quando cambia l`economia», dice, «bisogna interpretare il nuovo». Rimini l`ha fatto più volte nella sua storia e ancora cerca di farlo adesso indicando così al Paese una via d`uscita alla crisi. Anche se il momento è difficilissimo: «Sono sindaco da un anno e mi sono beccato due manovre di Tremonti, la
spending review, il taglio delle province, il terremoto e pure il nevone». Il «nevone»: una nevicata di tré metri e mezzo come quella di Amarcord.Pasolini, che non amava Fellini, disse che il film avrebbe dovuto intitolarsi Asarcurdém, ci ricordiamo, per sottolineare che il merito andava perlomeno diviso a metà con quell`altro genio di Tonino Guerra, coautore di soggetto e sceneggiatura. «Cercai Tonino Guerra», ha raccontato Fellini, «e gli dissi che volevo fare un film cosi... Venne fuori il ritratto di una provincia italiana, una qualunque provincia, negli anni del fascismo (...)

La provincia di Amarcord è quella dove tutti siamo riconoscibili, autore in testa, nell`ignoranza che ci confondeva». Proprio perché quel film ci rappresentava tutti, Fellini aveva pensato di intitolarlo Viva l`Italia!; oppure Il borgo, perché in fondo l`Italia è un borgo. Poi virò sul dialetto, pensò a Osciadlamadona che è un modo di dire romagnolo, ma qualcuno l`avrebbe scambiata per una bestemmia; quindi fu tentato da `Nteblig! perché lo diceva sempre suo nonno però anche qui, poteva voler dire «nell`ombelico» o anche «in» qualcosa d`altro. Finì su
Amarcord anche se tutto voleva comunicare tranne che un «mi ricordo»: «Quel film voleva essere il commiato definitivo da Rimini... Soprattutto voleva essere l`addio a una certa stagione della vita, quell`inguaribile adolescenza che rischia di possederci per sempre».

Eppure quella Rimini, che Fellini ha più sognato che narrato, c`è ancora: soprattutto nello spirito dei suoi abitanti. La Rimini un po` matta, anarchica, dissacrante. La Rimini del capomastro Aurelio e di sua moglie Miranda, di loro figlio che dalla galleria del cinema fa la pipì sul cappello del cavalier Biondi, del barbiere che si chiama Definitivo perché è l`ultimo di quattordici figli e quando è nato i genitori hanno detto basta, della ninfomane Volpina e della formosa Gradisca («Mi fai morire Gradisca, la Greta Garbo si deve andare a nascondere!», le gridano per strada) che si commuove quando vede il transatlantico Rex e vorrebbe toccare il Duce in visita a Rimini mentre un gerarchetto locale grida che «Mussolini c`ha due coglioni cosi».

È ancora uguale quel suo centro storico quasi commovente per le tante storie che racconta: il corso che collega l`arco di Augusto al ponte di Tiberio, dove nel film passa la Mille Miglia; la piazza Cavour dove si giocava a palle di neve e la piazza che si chiamava Giulio Cesare perché ricordava che qui s`è tratto un dado e che adesso si chiama Tré Martiri perché i nazisti ci hanno impiccato tre partigiani; il cinema Fulgor «il cui proprietario», ricordava Fellini, «assomigliava a Ronald Colman e lo sapeva: portava l`impermeabile anche d`estate, i baffetti, e manteneva una costante immobilità per non perdere la somiglianza». Adesso il Fulgor è chiuso, ma l`amministrazione comunale ha
fatto partire i lavori per trasformarlo in una casa del cinema e in un museo felliniano perché l`anno prossimo sarà il ventennale della morte del maestro,il quarantennale di Amarcord e il cinquantennale di Otto e mezzo. Costerà, il tutto, giusto otto milioni e mezzo. Ma qui sono convinti che ne varrà la pena perché anche con la crisi bisogna investire, valorizzare quello che c`è, inventare qualcosa di nuovo.

Altri 35 milioni di euro verranno spesi per rimettere finalmente a posto il Teatro Galli, ancora distrutto dai bombardamenti dell`ultima guerra; il medievale palazzo del municipio sta trasformandosi in una «casa comune» (aperto a mostre, gallerie, eventi) e insomma si fa di tutto per far vedere che Rimini è sì vacanza al mare ma non solo: «Non vogliamo briatorizzare la riviera», dice Gnassi, «perché siamo un posto
vero». «Rimini», spiega Ferruccio Farina, storico della città e del turismo balneare, «è rimasta ferma per quattrocento anni, dalla fine di Sigismondo Pandolfo Malatesta. Era diventata una terra poverissima. Poi, dalla metà dell`Ottocento, la nostra gente è cambiata. Da allora la sua caratteristica principale è quella di saper adattarsi alle novità, dare risposte diverse a bisogni diversi, rischiare». È nel 1843 che nascono, su iniziativa dei conti Baldini e del medico Claudio Tintori, gli «Stabilimenti privilegiati dei Bagni Marittimi»: l`acqua di mare come terapia. Funziona, ma nel 1873 i bagni falliscono. Ci si arrende? No. Il Comune rileva lo stabilimento, con un investimento allora onerosissimo, e ne affida il rilancio a Paolo Mantegazza, notissimo medico e soprattutto grande bon vivant. Rimini diventa non più solo un luogo dove curarsi, ma un centro di villeggiatura, sport, balli, ricevimenti. Genio anche nelle pubbliche relazioni, Mantegazza riesce a diffondere la notizia secondo la quale le acque del mare di Rimini hanno una certa qualità: «Una specie di Viagra ante litteram», ha scritto un altro
storico locale, Silvano Cardellini. Nasce il Kursaal, con i suoi valzer e charleston sotto le stelle: meraviglioso monumento alle Belle Époque purtroppo distrutto nel 1948 in preda a una folle furia iconoclasta. Nel 1908 si inaugura il magnifico Grand Hotel: «Le sere d`estate», ha scritto Fellini, «diventava Istanbul, Bagdad, Hollywood. Sulle sue terrazze, protette da cortine di fittissime piante, forse si svolgevano feste alla Ziegfield. Si intravedevano nude schiene di donne che ci sembravano d`oro, allacciate da braccia maschili in smoking bianco».

La Rimini di inizio Novecento è una vacanza per l`aristocrazia. Comincia a diventare anche di massa nel Ventennio, con l`introduzione delle ferie per tutti. Il regime esalta il culto della salute e del corpo, i filmati del Duce che fa il bagno a Riccione sono uno spot formidabile per tutta la Romagna: i borghesi vanno nei villini e negli alberghi, i figli degli operai nelle colonie. Ma poi c`è la guerra. Poche città italiane sono colpite come Rimini. Trecentonovantasei bombardamenti. Ancora Fellini: «Sono partito da Rimini nel `37. Ci sono tornato nel `46. Sono arrivato in un mare di mozziconi di case. Non c`era più niente». Bisognava ripartire. Da cosa? Il sindaco comunista Walter Ceccaroni si comporta da liberista: i mezzadri sono incentivati a diventare albergatori e qualcuno a un certo punto propone un monumento alla cambiale. Nascono le prime pensioni familiari e anche la classe operaia ha finalmente il suo posto al sole. Viene coniato un neologismo, «riminizzare»:
vuoi dire «deturpare con un`eccessiva concentrazione di costruzioni». Negli anni Ottanta Camilla Cederna ne inventa un altro: divertimentificio. Nel 1989 arriva un`altra mazzata: la mucillaggine. «C`è chi dice che quella poltiglia è la vendetta del Signore per i nostri peccati», scrive ancora Cardellini. Arrendersi? No. «Il carattere forte di questa terra», dice il sindaco Gnassi, «non si ferma. Iniziano le grandi opere per la destagionalizzazione del turismo, la nuova Fiera, il Centro Congressi...».

Negli anni Duemila va in crisi anche il divertimentificio, le discoteche diventano sballo, notti oscure. Si inventano allora le Notti Rosa: spettacoli, musica e cibo fino all`alba da Comacchio a Cattolica. Certo la crisi si sente anche qui. Giancario Claroni, il presidente della Lega
Coop, ha previsto un meno venti per cento per l`estate. I dati fino al 31 maggio però segnano un più 2 per cento di presenze. Non si sa quale sarà il saldo a fine stagione. Ma di sicuro Rimini oggi non è più solo mare. Su millecento alberghi, quasi quattrocento restano aperti tutto l`anno. C`è anche un`economia che non è legata al turismo: la Smc leader nella produzione delle macchine per il legno, la Celli che vende in Germania l`attrezzatura per spillare la birra (come vendere frigoriferi agli eschimesi), il distretto della moda con la Gilmar, la Ferretti, le scarpe Rossi.

Rimini è solo un borgo dove fermano il sindaco per strada per chiedergli di un tombino. Ma un borgo capace di convincere ogni anno otto milioni di persone che la sua parlata con la esse storta, e la sua capacità di far sentire tutti a casa propria, sono meglio del mare della Costa Smeralda. Un borgo insomma che sa vendere quel che la Provvidenza gli ha dato, e che il genio italiano sa mettere a frutto.

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Ultimo aggiornamento

15/05/2023, 17:07