A Motus e D'Augusta il Sigismondo d'oro 2007

Si è svolto giovedì 20 dicembre 2007 nella Sala dell’Arengo, il tradizionale incontro con le rappresentanze cittadine per lo scambio di auguri di fine anno. A Motus (Daniela Francesconi Nicolò e Enrico Casagrande) e Vittorio D'Augusta il “Sigismondo d’oro 2007”, il riconoscimento ai cittadini riminesi che hanno onorato la città di Rimini con la propria attività.
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Concedendo eguali meriti a volontà e fortuna - ha detto il Sindaco Alberto Ravaioli nel saluto alle autorità cittadine - credo di non oltrepassare la soglia dell’entusiasmo immotivato se affermo che mai come quest’anno il Sigismondo d’Oro sia in sintonia perfetta con un’emozione collettiva andata via via diffondendosi a Rimini nelle ultime settimane. Quello che sta succedendo deve far dichiarare con orgoglio che finalmente agisce in città un nuovo protagonista: la cultura.

Meglio sarebbe definirlo un attore bravo ma prima timido e recalcitrante a occupare la ribalta.

Oggi, in questa sede, è la cultura a dominare consapevolmente la scena.

Il riconoscimento della stampa nazionale e internazionale ma, soprattutto l’affetto, la curiosità e la meraviglia dei riminesi nei confronti della domus del chirurgo non può non far pensare che se quel sito è stato fortemente voluto dalla Amministrazione comunale, ancor più esso è condiviso dalla comunità.

A quanti mi chiedono se la domus porterà turisti, ritorno economico e di immagine rispondo con un augurio positivo. Ma aggiungo che la Domus ha già portato un tocco di grazia e di bellezza nella nostra città. Non è poco.

Proprio l’affetto e lo stupore che i cittadini hanno dimostrato nei confronti di questo evento hanno confermato una convinzione che contraddice uno dei luoghi comuni più diffusi su Rimini, e cioè che i riminesi siano poco attenti nei confronti delle espressioni culturali.

E’ vero il contrario.

E’ vero soprattutto che la città è pronta a riconoscersi attorno a simboli forti di appartenenza e di immedesimazione. E tutto ciò ci incoraggia a proseguire con maggiore determinazione a dare concretezza ad alcuni obiettivi che saranno- direttamente e indirettamente- al centro del lavoro amministrativo nei prossimi mesi. Ne voglio sottolineare tre in particolare: il ripristino del fossato di Castel Sismondo, la ristrutturazione del Palazzo Valloni in una Casa del Cinema che ha nella riconversione ‘internazionale’ del Fulgor il suo cuore, il recupero del Teatro Galli. Siamo certi che, intorno a queste ‘imprese’ (perché tali sono in termini di complessità e capacità economico-progettuale che le sostengono), Rimini saprà presentarsi unita.

Perché non si tratta di rifare un muro o sistemare un pavimento; c’è la storia, la tradizione, l’intelligenza, la creatività, persino le contraddizioni di un intero corpo sociale in mezzo a quei luoghi.

Le priorità di intervento del Comune di Rimini si legano allora ad obiettivi strettamente inerenti la crescita dei servizi, delle connessioni relazionali, dell’aggregazione.

Occorre percorrere la strada di una sempre più convinta diffusione della ‘cultura della cultura’. Non si tratta di un gioco di parole ma di un auspicio fortemente sentito da chi vi parla. 

Perché la cultura è fattore primario di civiltà, di civismo, di tolleranza. Di più, è fattore non secondario di rafforzamento- anche antropologico- di un diritto di cittadinanza che deve estendersi anche ai non residenti, perché esso veicola una insostituibile coesione della multiculturalità. Tutto questo per dire che più sapere non significa solo più turismo o maggiore qualità (anche estetica) del vivere; vuol dire soprattutto più educazione nel senso nobile del termine, maggiore tolleranza.

Rimini non può riconoscersi in quella che i sociologi chiamano le varie ‘tribù’. Deve semmai identificarsi in un concetto di cittadinanza alla base della quale stanno il reciproco rispetto, il senso civico,  il giusto equilibrio fra diritti e doveri.

In definitiva i valori universali della cultura devono trasferirsi completamente nelle regole del vivere civile della nostra comunità. Un obiettivo che può essere anche un modo, o meglio un moto, orgoglioso di affermare ciò che siamo realmente, al di là di oleografie più o meno strumentali o delle rappresentazioni caricaturali che talvolta si fanno del nostro passato, del nostro presente e del nostro futuro.

La cultura può portarci verso traguardi lontani. Tanto affascinanti quanto inediti. Ad un patto però: che non isterilisca entro piccole e rissose beghe di parte che sanno tanto di provincialismo antico. Essa non può (non deve) essere il vanto e la passerella di chi la promuove. Deve guardare verso alti e condivisi obiettivi. E’ un cambio di passo necessario ma comunque non semplice perché diverse sono le incrostazioni e gli interessi per i quali conviene mantenere un piccolo, placido cabotaggio. Lo sforzo deve essere orientato nella direzione di affermare una cultura che includa perché sa parlare il linguaggio multiforme della modernità piuttosto che divida o generi enclave elitarie.

A ‘buono o cattivo’ a seconda dell’amicizia o della vicinanza preferisco ‘meritevole o non meritevole’ a seconda della capacità. A ‘giusto o ingiusto’ a seconda della predilezione personale preferisco ‘capace o non capace di cogliere l’uomo’ a seconda del rigore dell’applicazione e dello sguardo curioso sul mondo.

Perché una cosa deve essere chiara: la cultura non si ferma alla domus del Chirurgo o al Trecento o al Seicento. Chi ragionasse in questo modo darebbe solo prova di ristrettezza mentale, mediocrità. Soprattutto darebbe prova di non afferrare affatto quella definizione di Tullio De Mauro che vuole la cultura ‘il complesso dei modi relativi alla vita quotidiana di un ambiente, di un popolo o di un’epoca’.

E se la cultura è il corpo, l’arte è il sangue che vi scorre dentro.

L’arte è un’espressione necessaria della realtà intorno a noi e del tentativo di comprenderla. Chi non ammette il contemporaneo ricordando con nostalgia le opere del passato rifiuta di accettare il fatto che i capolavori che tanto ama hanno rappresentato anch’essi il presente per la propria epoca. Rimpiangere il passato vuol dire chiudere le porte all’oggi e negare il futuro. Significa rinunciare a godere- anche nelle sue forme più strane e ‘brutte’- l’energia che sospinge, e sempre ha sospinto, ogni società. Vuol dire rinunciare al propellente, gratuito, del progresso e della civiltà.

L’arte, per definizione, è sempre contemporanea.

Questo è il significato di una bella e festosa giornata come quella odierna. E questo si riflette nelle scelte che l’Amministrazione comunale ha operato per il conferimento del Sigismondo d’oro 2007.

Due indicazioni che, a ben guardare, sono un proposito politico e amministrativo per il futuro.

Conferire a Motus e a Vittorio D’Augusta la massima onorificenza cittadina vuol dire sì confermare la vocazione di una città che ha salde radici nel passato e che al tempo stesso sa guardare al futuro e riconoscere un ruolo a chi opera nell’arte contemporanea. Ma significa anche da parte nostra affermare nettamente la necessità di spingere a fondo l’acceleratore sul versante coevo della vita culturale, attraverso la sistemazione e la messa in circuito di contenitori e spazi e soprattutto la saldatura di un tessuto di rapporti capace di far decollare non solo un progetto culturale ma un’idea stessa di città.

Questo impegno vuol essere semplicemente ciò che è: un’apertura di credito reciproco

Rimini ha bisogno di ripercorrere la strada del contemporaneo per diventare un punto di riferimento. Rimini sa di potere in questo colmare un vuoto che non è solo di questo territorio, rappresentando un’opportunità di sviluppo non agganciata al filone oramai saturo del ‘grande evento culturale pianificato industrialmente’. Più che una singola iniziative, più che un singolo autore, più che una singola galleria dobbiamo alimentare un clima e una suggestione in grado di attirare il meglio delle intelligenze e della poetica artistica contemporanea.

Non è compito che possa essere demandato in solitario all’Ente pubblico. Come è avvenuto in questi giorni per la domus del Chirurgo, le componenti partecipazione e entusiasmo sono basilari.

Una volta create le condizioni- penso ancora una volta agli spazi da recuperare per essere messi a disposizione dei progetti artistici più innovativi- serve una forte presa di coscienza e di responsabilità diretta da parte del mondo ‘creativo’ riminese per costruire un incontro forte con la città. Un progetto in grado di camminare con gambe proprie, così come sono i migliori esempi europei e mondiali.

Io credo molto in questa ‘Rimini del contemporaneo’ che innerverà saldamente anche il Piano Strategico. Ci credo perché non dubito della qualità della ‘stoffa’; ci credo perché, al di là di tutto, Rimini è un luogo dove la visione del contemporaneo è dietro a ogni angolo di strada.

La celebre definizione di Federico Fellini ‘Rimini è un tenero pastrocchio’ sintetizza la coerenza e le incoerenze, il bello e il brutto, gli slanci e le delusioni, i luoghi antichi e quelli (moderni, di una città unica perché capace nel suo insieme di vivere la modernità non come permanente senso di colpa ma con quella sana laicità che è tutt’altra cosa rispetto alla passiva indifferenza.

In questo senso, la comunità vera spesso dimostra di essere più in concordanza con i tempi e matura rispetto a quella virtuale che solo nominalmente ‘fa opinione’. E dunque uno scatto in avanti attende la classe dirigente (tutta) e politica (tutta) per colmare il divario con il Paese reale.

Proprio nell’anno in cui più clamorosa è parsa questa distanza e il termine ‘casta’ è diventato di gran lunga il più pronunciato e ascoltato, si sono registrati- anche sul piano locale- confortanti segni in controtendenza. Mi pare di intuire che questa volta il bisogno di nuova politica non sia il mezzo strumentale per traguardare al domani ciò che ormai è impresentabile.

Il 2008 sarà un anno cruciale anche per questa lotta.

Prima di lasciare il giusto spazio a Vittorio D’Augusta, a Daniela Francesconi Nicolò e a Enrico Casagrande, veri protagonisti di questa serata e nostri Sigismondo d’Oro 2007, permettetemi di ringraziare i cittadini, le istituzioni, le forze dell’ordine, le associazioni, le organizzazioni sindacali, gli assessori, i consiglieri comunali, tutte le forze politiche, il personale del Comune di Rimini. E’ grazie al lavoro di tutti che Rimini continua il suo cammino.

Desidero in questa occasione ricordare con affetto e commozione tutte le persone, i nostri cari, gli uomini e le donne che hanno avuto un posto nella nostra vita, che ci hanno lasciato durante l’anno. In questo ideale abbraccio mi permetto di richiamare alla memoria le figure di don Oreste Benzi e Vincenzo Bellavista, nostri Sigismondo d’Oro e cittadino onorario.

Grazie per la partecipazione a questa cerimonia. Vi auguro un Buon Natale e un sereno 2008 che, per Rimini, vorrà dire anche celebrare i 100 anni del ‘monumento’ alla nostra industria e alla nostra attitudine a far sognare il mondo: il Grand Hotel.

E adesso apprestiamoci ad applaudire Vittorio D’Augusta e i Motus. Prosegue la tradizione del Sigismondo, conferito a chi ama e contribuisce a rendere Rimini migliore attraverso un lavoro e uno sguardo non convenzionale su una città in viaggio.

Grazie.”

 

                                                                              

Vittorio D'Augusta

MOTIVAZIONE
Per l'originalità del talento che lo ha portato ad eccellere nel campo dell'arte contemporanea con interessanti forme espressive;
Per l'attenzione verso Rimini, città alla quale ha parlato con l'amore e la fantasia dell'arte e con le parole e la critica dell'intellettuale;
Per l'impegno nell'insegnamento che ha avviato, negli anni, tanti giovani al percorso dell'arte contemporanea.

BIOGRAFIA
Vittorio D'Augusta è nato a Fiume nel 1937 e dal 1948 risiede a Rimini. Da quella città di confine, che nell'arco di un secolo è stata asburgica, dannunziana, italiana, titina e croata, e da Rimini, città dalle profonde trasformazioni, ha tratto l'attitudine a rifiutare la rassicurante stabilità delle teorie definitive e a considerare valore l'elasticità del pensiero “mobile”, capace di attraversare ipotesi contraddittorie. Questa concezione ossimorica dell'arte gli ha permesso di rinunciare a coerenze formali, rimanendo però fedele a due principi: l'idea che la pittura sia il termine di paragone con cui si confronta ogni pensiero, l'idea che ogni gesto del dipingere, per quanto radicale, possa sempre complicarsi in digressioni, o “dirottamenti da sé”, che ne mettano a rischio la rotta prefissata, e che implicano un'aspettativa fatalista, o romantica, per ciò che potrà accadere, e forse accadrà, dentro la pittura all' "insaputa dell'autore”.

Esordisce in campo artistico negli anni '60, unendo all'interesse per la pittura l'impegno culturale e politico tipico di quell'epoca. Nel decennio successivo approda ai movimenti europei della concettualità analitica. L'attività di questo periodo è documentata in Empirica, al Museo Castelvecchio di Verona (1975) e in Astratta: Secessioni astratte in Italia dal dopoguerra al 1990, a Palazzo Forti di Verona a cura di Giorgio Cortenova e Filiberto Menna.

Giovanni Maria Accame nel 1978 presenta una personale di D'Augusta a Firenze, presso la Galleria Piramide, con una riflessione sul concetto di soglia di definibilità della pittura.

In questo ambito, in bilico tra pittura e spazialità sensibile, opera in installazioni ambientali, esponendo in importanti rassegne tra cui: Le designazioni del senso, presso la Loggetta Lombardesca di Ravenna (1978); Metafisica del quotidiano, alla Galleria  d'Arte Moderna di Bologna (1978);  Pittura/Ambiente al Palazzo Reale di Milano (1979); Il Materiale delle Arti al Castello Sforzesco di Milano; Nuova immagine al Palazzo della Triennale di Milano (1980) a cura di Flavio Caroli.

Con il gruppo dei “Nuovi Nuovi”, teorizzato da Renato Barilli, espone in prestigiose sedi, come il Palazzo dell'Esposizioni a Roma, la Palazzina di Parco Massari a Ferrara, la Galleria Comunale d'Arte Moderna di Torino.  E' presente nel 1985 ad Anni Ottanta presso la Galleria d'Arte Moderna di Bologna e, nel 1986, ad Aspetti dell'Arte Italiana 1960/1980 (Francoforte, Berlino, Hannover, Bregenz, Vienna).

Nel 1992 Marisa Vescovo lo invita a Frequences Lumineuses alla Villette di Parigi.

Ha allestito personali in numerose città, tra cui: Vienna, Milano, Firenze, Amburgo, Francoforte, Monaco, Costanza, Valencia, Bologna, Alessandria e Rimini. Si dedica al disegno come pratica liberatoria e introspettiva: nel 1994 espone ai Musei di Modena opere su carta, presentato da Flaminio Gualdoni.

La pittura ritorna al centro del suo interesse come scommessa che, entro i limiti della bidimensionalità, siano ancora possibili margini di libertà, di trasgressione linguistica e coinvolgimento meditativo.

Nel 1995 la Galleria d'Arte Moderna di Bologna gli dedica una vasta personale con testo in catalogo di Dede Auregli, che testimonia questa fase di ricerca con quadri di grandi dimensioni tra minimalismo e sensibilità lirica.

Claudio Spadoni, che già nel 1983 lo aveva inserito  in Critica ad Arte, a cura di Achille Bonito Oliva, al Palazzo Lanfranchi di Pisa, lo invita nel 2000 alla Quadriennale di Roma.

Tra le collettive recenti più importanti, "Opera al Nero (Ancona, Mole Vanvitelliana, 2004) a cura di Marisa Vescovo, Nuove Acquisizioni (Ravenna, Museo della città, 2006) a cura di Claudio Spadoni, Elogio alla Figura (Cesena, Palazzo del Ridotto, 2007) a cura di Marisa Zattini e Antonio Paolucci.

Dal 1979 ha insegnato presso l'Accademia di Belle Arti di Ravenna, della quale è stato direttore per dieci anni. Attualmente insegna presso l'Accademia LABA di Rimini.

Associazione Culturale Motus - Compagnia teatrale

MOTIVAZIONE
Per avere costruito, partendo dalla matrice culturale della Città e con un lungo lavoro, un gruppo significativo nel panorama del teatro contemporaneo che dialoga costantemente con esso e fuori di esso;
Per la singolarità del linguaggio e delle parole, espressioni particolari con le quali i Motus affermano una propria poetica a livello internazionale;
Per avere portato nel mondo il nome di Rimini legandolo all'arte degli spettacoli teatrali.

BIOGRAFIA
La compagnia teatrale Motus si forma a Rimini nel 1991 fondata dalla riminese Daniela Francesconi Nicolò  e da Enrico Casagrande di Gualdo Tadino. Daniela e Enrico studiano all'Università di Urbino dove avviene il loro incontro artistico all'interno del gruppo teatrale Atarassia. Dopo la laurea si trasferiscono a Rimini; qui nasce l’idea di fondare un gruppo indipendente che inizialmente prende nome di "Opere dell’ingegno".

Nel 1991 creano il primo spettacolo Stati d'assedio, ispirato a Lo stato d’assedio di  Albert Camus, che ottiene il "Primo premio Coordinamento Giovani Artisti Italiani, Spazio Proposta Festival Santarcangelo '91".

Dal 1992 la compagnia si chiama Motus e dà inizio a una lunga serie di produzioni. Dello stesso anno è lo spettacolo la Strada Principale e Strade Secondarie; del  1993 AID. Zona ad alta tensione; del 1994 Cassandra. Interrogazioni sulla necessità dello sguardo; del 1995 L'occhio belva.

Nel 1996, con il dirompente spettacolo Catrame, ispirato a La mostra delle atrocità e Crash di J.G.Ballard, Motus acquista visibilità a livello nazionale e internazionale.

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Ultimo aggiornamento

15/05/2023, 17:12