Nella mia esperienza di documentarista darcheologia ho sempre dovuto fare i conti con lansia di essere in grado di stimolare nello spettatore emozione e curiosità.
Quello che racconterò non sarà troppo complesso? Oppure : Non sarò troppo noioso?
E poi ancora la domanda più crudele: Interesserà davvero a qualcuno la storia che mi accingo a narrare?
Devo dire che, partecipando da alcuni anni al Festival del Mondo Antico di Rimini e assistendo con piacere al grande interesse che la manifestazione suscita tra studiosi e appassionati, molti di questi dubbi sono, se non cancellati, quanto meno sopiti.
Da tempo del resto perseguo un metodo di racconto che continua a divertirmi e a divertire chi guarda i miei documentari: quello di cercare di estrarre dalla terra, da cui gli archeologi deducono il racconto scientifico, estrarre uomini ancora vivi, in carne ed ossa, uomini che vissero millenni fa.
Voragini di tempo, di mutamenti culturali, fratture profonde nel comportamento e nel pensiero ci separano dai nostri antenati, eppure come i segnali che ci arrivano da una stella remota e forse già esplosa, anchessi continuano a mandare a noi moderni segnali magari deboli ma persistenti.
Si tratta di tendere i nostri sensi, aprire il cuore e la testa per coglierli in tutta la loro ampiezza.
Raccontare ( anche ) in questo modo il nostro passato significa dare corpo e forma a quelle che per gli studiosi ( sempre più prudenti di noi cantastorie ) chiamano ipotesi, proposte, tesi da dimostrare.
E così che, con la preziosa collaborazione scientifica di Jacopo Ortalli e Stefano De Carolis, nasce dentro al documentario LArte Breve, la figura e la vicenda del Chirurgo che millesettecento anni fa operava nella Taberna medica di Piazza Ferrari.
Indizi, tanti indizi, confortati dai dati archeologici, e le fonti tramandate dallAntichità mi hanno permesso di ricostruire con buona verisimiglianza le vicende di un uomo particolare.
Chi viveva duemila anni fa aveva unaspettativa di vita che non superava in media i trentanni e i maschi soggetti alla vita militare sapevano che potevano passare anche quarantanni sotto le armi.
Un rapporto quotidiano dunque col dolore, con la paura, col rischio, con la morte che sicuramente doveva esercitare un peso enorme nella condotta di vita. Questo è un tema che mi ha sempre affascinato e che il lavoro sul Chirurgo di Ariminum mi ha permesso di sviluppare ampiamente. Tradizione vuole che chi aspirasse a diventare medico non doveva solo studiare ma soprattutto passare un lungo periodo di apprendistato nellesercito, in quella gigantesca fabbrica di morte che era lesercito romano. I dati di scavo di Piazza Ferrari attestano che il nostro chirurgo aveva una formazione culturale greca e una devozione religiosa ( quella a Giove Dolicheno ) che rimanda ai culti in voga tra i legionari del confine orientale dellImpero. .
Per questo ho immaginato la storia di un ragazzo nato chissà forse in Grecia o in Asia Minore
( dove erano attive le migliori scuole di medicina del tempo ) e che facesse le prime dolorose esperienze nellesercito, un ragazzo che negli occhi di un soldato in fin di vita cercasse le prime risposte alla sfida insolente del Dolore e della Morte, o in altre parole, al significato profondo della sua missione.
Ho immaginato che dopo questa fondamentale esperienza, il nostro medicus, ormai uomo maturo, approdasse a Rimini e qui mettesse a frutto lesperienza accumulata. Unesperienza preziosa soprattutto come chirurgo, perché gli strumenti ritrovati ( alcuni dei quali rarissimi pezzi unici ) dimostrano che egli operava in diverse parti del corpo con interventi difficili e rischiosi.
Insomma la sfida con la Morte iniziata sui campi di battaglia è il duello di tutta una vita.
Un duello di destrezza, coraggio e rapidità, per non dare scampo al Dolore . Da qui il titolo del documentario. Se Ippocrate dice che la nostra vita è breve e lunga è lArte medica, cioè che abbiamo poco tempo per impadronirci alla perfezione dei segreti della medicina, io ho voluto capovolgere in modo radicale i termini: la vita di chi soffre sarà lunga se il chirurgo esperto sarà veloce nel combattere il Male.
Licenza poetica certo ma che non offusca la correttezza scientifica del documentario, anzi invita lo spettatore ad allargare il campo di riflessione sul modo in cui gli Antichi si rapportavano al Dolore e alla sua cura.
Anche il nostro Chirurgo doveva averci pensato parecchio, se nella sua Domus teneva una statua di Ermarco, allievo di Epicuro, di un filosofo che guarda il caso ha fatto della battaglia contro il Dolore la forza del suo pensiero.
Indizi, dicevo, che convergono tutti verso la composizione di un ritratto non vero ma senzaltro verosimile e soprattutto - spero - capace di suscitare nello spettatore antiche emozioni.