La mostra offre uno spaccato eloquente di una lunga stagione pittorica che va dallo scorcio dellultimo Ottocento agli anni 60 del 900 attraverso una selezione di opere provenienti da collezioni private e pubbliche. Saranno esposti anche dipinti inediti conservati nei depositi del Museo della Città.
Si tratta di una indagine conoscitiva sulla pittura e sugli artisti che hanno nel tempo mantenuto un profondo legame con la città, nel solco di una tenace e durevole tradizione accademica, tra ansie di nuovo, tentativi di aggiornamento e di lettura verso le più rutilanti ricerche artistiche prodotte dalla ribalta nazionale. Non è il primo tentativo di rileggere larte del 900 riminese, ma come espressamente indicato dal curatore si è voluto qui interpretare il periodo sulla scorta di un tema, quello appunto più appassionante e divisivo in quegli anni e da sempre: lessere il linguaggio dellarte divaricato e scisso fra tradizione e innovazione.
Attorno agli anni Cinquanta e Sessanta la città venne sfiorata da questo dibattito, anche se, nei fatti, prevalse la continuità con la tradizione accademica ottocentesca, malgrado la tremenda cesura venutasi a creare con la Seconda Guerra Mondiale. La gran parte della borghesia e lambiente culturale cittadino chiesero agli artisti di non stare a guardare la catastrofe in atto e di non raccontare, in definitiva, le ferite, le lacerazioni e la fatica di vivere.
Ai più vecchi Norberto Pazzini, Guglielmo Bilancioni, Mariano Mancini, Silvio Bicchi, Francesco Brici, Alberto Bianchi si avvicendano sulla scena riminese i pittori Curugnani, Pasquini, Edoardo Pazzini, Della Bartola, Moroni, Corrà, Miselli, Antonini, Piombini solo per citarne alcuni che andarono ad arricchire molte raccolte private.
Ecco allora proliferare serene rappresentazioni campestri, rassicuranti scorci cittadini e luminose vedute portuali; salvo poi doversi confrontare di lì a poco con tre eventi culturali che misero improvvisamente, e forse inaspettatamente, Rimini di fronte a mondi sino ad allora sconosciuti: la Biennale del Mare del 1953 e i Premi Morgans Paint del 1957 e 1959.
La mostra al Museo della Città in un breve percorso, denso e articolato, mette in luce quei generi mai abbandonati dai pittori riminesi e romagnoli tra 800 e 900, quali il ritratto, la natura morta, il paesaggio: una produzione che non si arresterà nemmeno quando la profonda esperienza nel secondo dopoguerra dei Morgans Paint e della Biennale del Mare scuoterà il panorama e lhumus artistico riminese.
Giulio Carlo Argan prima e Francesco Arcangeli poi turbarono proprio in quella occasione la quiete balneare facendo approdare a Rimini i grandi maestri del Novecento italiano: costoro da tempo parlavano un linguaggio nuovo nella pittura, più aderente ad una visione del mondo irrimediabilmente spezzata e frantumata, ma viva e reattiva, bisognosa di parole ed espressioni diverse da quelle divenute ormai convenzionali, per raccontare un rapporto irrequieto fra lio e la realtà, fra lio e la natura, fra la ragione stessa e i sensi. Come meteore, attraversarono allora il cielo della piccola ribalta riminese espressioni del Sintetismo plastico, del tardo Simbolismo, del Realismo, dellInformale e dellAstrattismo. Poi, ancora come meteore, altrettanto rapidamente scomparvero lasciando libero campo alla generale indifferenza, quando non allaperta ostilità del mondo intellettuale cittadino. Rare furono le eccezioni: alcune tiepide ed effimere frequentazioni del Realismo e dellAstrattismo e poche, pochissime adesioni di artisti disposti a valutare sino in fondo la novità e limportanza di quella stagione.