Le informazioni che emergono sul caso disegnano un quadro, se non identico, molto simile a quello che vide Rimini come scenario due anni fa. Quel che accade oggi e quel che accadde allora dimostra a mio parere due cose. La prima, e più importante: sta davvero cambiando una stagione sul fronte di quello che per troppo tempo era da tutti considerato un bancomat cui attingere senza neanche digitare il codice, e cioè il mattone che tutto fa girare e che mai nei secoli dei secoli avrebbe esaurito la sua forza. La seconda, e più pericolosa: contrapporre la vecchia impostazione de la crisi si supera dando un altro giro al mattone o di non si può fermare una economia per unimpostazione ambientalista allurgenza del cambiamento circa un nuovo modo di considerare il territorio rischia di produrre un clima malato e potenziali germi deleteri.
Tra i miei ricordi più amari dellesperienza amministrativa a Rimini cè quanto accade allalba del 2012 quando ricevetti lettere anonime che contenevano esplicite e pesanti minacce per la battaglia contro il cemento che lamministrazione stava impostando. Eravamo, in quel momento, nella fase di elaborazione del Masterplan, dellarchiviazione definitiva dei mega project financing riguardanti il lungomare, di richieste di presunti danni milionari, del dibattito su tutta una serie di piani particolareggiati che dovevano essere approvati perché i diritti acquisiti sono intoccabili, di una bolla immobiliare già esplosa con la sua eredità di 15 mila alloggi sfitti in provincia. In quel contesto caldo, polemico, in cui si determinava la qualità e lautorevolezza del governo locale allindomani di elezioni che avevano dato un chiarissimo mandato in tal senso, ecco quelle lettere. Non lho dimenticato e non ho dimenticato il clima di quei giorni. Nel frattempo Rimini è andata avanti, e ha vinto nelle sedi deputate, molte delle sue battaglie contro un uso non più tollerabile del territorio. Con la schiena dritta e facendo quello che si doveva fare a difesa della comunità.
Lelemento paradossalmente positivo della storia di Isabella Conti è che stia via via emergendo un movimento collettivo a favore di un rispetto più alto di ciò che si chiama territorio, per alimentare una direzione nuova del fare economia, legata alla rigenerazione, al paesaggio, alla tecnologia e non ai retini e alle aree di espansione. Non servono albi dei sindaci anti cemento, serve semmai che le istituzioni, gli amministratori non siano lasciati soli, nel silenzio che a volte parla più di mille discorsi. E servono politiche vere, che incentivino sistematicamente i programmi e i progetti di riqualificazione e di rigenerazione sul modello europeo, per lasciarci alle spalle lera del mattone. La nuova era della nuova Regione ha la possibilità di premiare e destinare risorse, a partire dai fondi europei, per chi percorre questa direzione. Non ci sono più alibi. Da qui si vedrà se i sindaci, oltre ala solidarietà, potranno essere sostenuti nelle scelte concrete a tutela del territorio.