“Eravamo sfollati a San Marino. Nelle gallerie”.
Sono le parole che ho ascoltato da bambino. Parole che rimangono dentro per sempre. Parole e racconti dei tuoi nonni con in braccio i tuoi genitori. Cercavano di salvarsi.
75 anni dopo scopri che il signor Bagli era nelle gallerie di Serravalle con la sua famiglia, insieme alla tua.
Capite ancora di più la mia emozione, qui, davanti a tutti voi stasera.
Benvenuti.
Questa sera chiudiamo per sempre un capitolo della nostra storia. Che si era aperto 75 anni fa tra lutti, dolore, distruzione, macerie. Poi i nostri nonni, i nostri padri, noi, Rimini, tutti, abbiamo ricostruito, trasformando quella polvere nel sogno di milioni di italiani. Rimaneva però, ancora una cosa da fare, un groppo che non andava né su né giù.
Si poteva assorbirlo negli anni immediatamente successivi alla guerra: così non è stato. Ci abbiamo messo tanto, troppo.
Ma il tempo dei meriti e delle colpe deve oggi lasciare spazio alla riconciliazione della comunità con la sua storia. Questa sera facciamo pace con chi siamo stati, e con chi ci siamo dimenticati di essere stati.
Torniamo ad essere eredi di una storia millenaria. Da consegnare migliore a chi verrà. Non più semplici discendenti con pochi decenni alle spalle, che molto hanno dato, ma che- concentrati sul presente- hanno lasciato in secondo piano passato e memoria.
Torna la musica nel teatro ‘Amintore Galli’. Torna la vita. Anche se forse non se n’era andata. Probabilmente era sepolta; ma la fiammella della passione, della cultura, del desiderio non si è mai spenta, grazie a tante mani messe a guscio intorno all’infinita stagione dell’attesa. Il Teatro è rinato, il Galli è ritrovato.
Una città è una storia collettiva. E umana. Una storia che si tiene e lascia a chi viene dopo. Una storia che lascia salute e malattia, pregi e difetti. Una città, come un teatro, è un’opera corale, mai solitaria. Per questo il grazie va a tutti i riminesi che non si sono mai arresi. E grazie ai consigli comunali e alle amministrazioni comunali precedenti, e a quelli di oggi.
Grazie per questa meravigliosa livrea all’italiana curata da decine di operai, maestranze, artigiani, aziende, ingegneri, figli della più straordinaria tradizione del nostro ‘saper fare’ nazionale. Grazie ai tecnici, ai dirigenti, ai funzionari, ai dipendenti del Comune. Non abbiamo dato incarichi, abbiamo fatto con le nostre mani e il nostro cuore. Comune di Rimini.
Il nostro è un teatro capace di spostare più in là la classica linea di demarcazione del luogo teatrale.
Nel suo cuore interno. Oggi è un teatro di nove sale per funzioni diverse. Nove spazi nel cuore della città per creare relazioni, eventi, produzioni, residenze. Un utilizzo multiplo, eclettico, continuo e popolare. E’ lirica e factory. E’ un teatro di pellicce e anfibi (pellicce ecologiche certo…). E’ un teatro di spazi inconsueti, come quello sopra di noi, sopra questa volta solenne. E uno sotto di noi, sotto la platea, museo e area archeologica.
Perchè tradizione e modernità sono punti di vista della stessa prospettiva. Non nemici.
Il capolavoro ‘alla maniera di Luigi Poletti’ risorge con un obiettivo più ambizioso. L’obiettivo di essere il motore di un intero quadrante di città. Dalla piazza sull’acqua del Tiberio alla nuova piazza delle arti che circonderà il teatro stesso lungo le sue ali esterne, per arrivare al Fulgor abbracciando i nuovi musei d’arte del Podestà e dell’Arengo.
Un quadrilatero urbano e un teatro che per Rimini saranno quello che il Museo Guggenheim è stato per Bilbao. Non dimentichiamoci mai che stasera siamo in un vertiginoso spazio che, nei 75 anni di abbandono, è stato un cumulo di macerie, un padiglione fieristico, una palestra con copertura in eternit, il guardiano muto di un parcheggio.
Ne Le città invisibili Italo Calvino ha scritto:
‘Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone’
Il nostro è un teatro che si oppone all’idea di bastare solo a se stesso. E’ un’altra ripartenza per l’intera Rimini. Una rinascita stavolta intorno alla sincronia degli spazi, abbattendo ogni tipo di confine e recinto. Tra mare e centro, tra balneare e culturale, tra nord e sud, tra luoghi sopra la Statale e sotto. L’armonia del tutto come risultato della connessione tra le parti. Castello, ponte di Tiberio, Teatro a fare da specchio al prossimo Museo Fellini: il Quattrocento ritrovato dei Malatesta che si apre e dialoga con l’Ottocento, attraverso il genio creativo del Novecento di Fellini che, insieme alla forza dell’opera verdiana, invade gli spazi della nostra quotidianità, contaminandoci di bellezza, sentimento e contemporaneità.
Quello che da stasera Rimini si restituisce, dà forma a una città che si proietta verso il futuro. In un altro modo. Non per singoli progetti, ma attorno a un’idea complessiva di città.
E il Galli nasce per andare oltre: oltre un utilizzo conservativo, oltre una rigida monumentalizzazione, oltre una fissità urbana, oltre la passiva barriera tra autore e spettatore. Sarà un centro di produzione culturale, di relazioni, di rigenerazione urbana, di sviluppo qualitativo a raggiera, in connessione fisica, visiva, ideale con il contesto circostante. Perché, ancora con Calvino, ‘Ogni volta che si entra nella piazza ci si trova in mezzo ad un dialogo’. Come quello appunto tra Castello e Teatro. Come il dialogo che scaturisce dal confronto e dalle critiche, che nasce e si alimenta con il contributo di tutti.
Non sono lontani i tempi in cui in città ci si divideva non solo sul tipo di progetto di restauro, ma anche se fosse prioritario ricostruire un teatro piuttosto che rifare le fogne. Una città che vuole stare nel presente e nel futuro contempla entrambi gli aspetti. Non ci può essere un teatro/fabbrica di cultura senza un contesto sostenibile, un mare pulito. Così come, senza la riqualificazione piena del patrimonio storico e artistico, ogni discorso sulle prospettive turistiche, di nuovo lavoro, di benessere diffuso, sarebbe monco.
‘Per tutti- per dirla sempre con Calvino- presto o tardi viene il giorno in cui abbassiamo lo sguardo lungo i tubi delle grondaie e non riusciamo più a staccarlo dal selciato’. E’ vero, lo faremo uscendo anche stasera da teatro. Ma proprio la riapertura del Galli ci insegna che dobbiamo tornare a guardare il cielo.
Perché da stasera, il teatro dovrà fare i conti con il ‘com’è’, e il “come sarà”. Dovrà anche venire a noia per quanto lo frequenteremo e lo dovremo usare, ma nessuno potrà mai dimenticare il suo romanzo e la sua vicenda. Questa sera apriamo una porta che è sempre rimasta chiusa. Lo ha fatto con le sue commoventi parole il signor Bagli. Nessuno meglio di lui, nato nel dicembre 1943, poteva simbolicamente schiuderla.
Chiudiamo una ferita. Non è il tempo delle colpe. Possiamo dire oggi che ci fu un trauma, quello della guerra. Dove persino il ritorno alla vita era consacrato dal poter leggere nuovamente un manifesto funebre.
Sul muraglione della ferrovia vedemmo il primo manifesto: Gasperoni Elvira, diplomata ostetrica, una prece, si tornava a morire uno alla volta.
Come ha scritto Sergio Zavoli, in modo inarrivabile, al contrario che in tempo di pace sotto le bombe si muore in gruppo, anonimi, senza manifesti. Se fu quel trauma a farci dimenticare la storia, e a far prevalere la compulsività vorace negli anni successivi, oggi Rimini simbolicamente e fisicamente col Teatro ritrova la sua identità, la sua memoria. Ritrovata per andare più solidi nel futuro.
Chiudiamo un capitolo della nostra storia. Troviamo quello di un ‘nuovo inizio’. Troviamo la fatica, la gioia, il mistero, i genitori e i figli, i giovani e gli anziani, le persone, le idee, l’incanto del mondo, la grazia, la musica, il tempo ritrovato di Rimini e della sua comunità.
Per il Teatro Galli è venuto il tempo del ‘com’è e come sarà’.
Tutto si immagina, diceva Fellini. E anche il viaggio di Rimini è cominciato dall’immaginare. Oggi il nostro viaggio trova l’approdo in una meraviglia. Domani proseguirà verso un futuro che per la nostra città non potrà essere solo ‘scuro e minaccioso’ ma semplicemente ‘diverso dalle abitudini’.
Buone e diverse abitudini, Rimini. Buon viaggio, Teatro Galli.