Non è eccessivo ribadirlo: la riapertura della scuola il prossimo 14 settembre è la priorità delle priorità, un obbligo di coscienza e un inaggirabile impegno di responsabilità individuale e collettiva di ciò che chiamiamo Stato, Nazione, perfino Patria.
Lo ripeto ancora perché, spero di sbagliarmi, non vorrei che quanto stiamo tutti leggendo o ascoltando in questi giorni sugli organi di informazione nazionali non sia già un mettere le mani avanti per un rinvio dell’anno scolastico all’ultimo minuto. Per questa o quella ragione, tutte legittime, documentabili, motivate ma che, se confluissero nell’ipotesi dilatoria, porterebbero dritto alla più grande sconfitta del Paese, una cicatrice che non si rimarginerebbe per generazioni. Spero ovviamente di essere smentito subito dal CTS, il Comitato Tecnico Scientifico che in settimana si deve esprimere sulle modalità di apertura delle scuole in base all’andamento dei nuovi contagi.
Quello che più avvilisce in questo balletto mediatico è la mancanza di un ragionamento, e dunque di intervento, tempestivo e strutturato nell’organizzazione della chiusura delle attività e della successiva ripresa pensando anche ai diritti dei minori. Auspico fortemente e mi auguro che ci sia una mobilitazione in tal senso da parte di tutto il mondo della scuola e delle famiglie perché si apra il 14 settembre per tutti. Certo, con la flessibilità necessaria e la massima cura per gli standard dei livelli essenziali a livello nazionale. Il rischio a cui siamo di fronte deve essere stimolo all’innovazione, nella didattica così come nella gestione degli spazi e dei servizi. E non l’alibi per una rinuncia.
Sarò chiaro: il ritardo nell’apertura dei cancelli delle scuole sarebbe per tutti una colossale ammissione di sconfitta, impotenza, incapacità. Neanche sotto le bombe di una guerra mondiale siamo arrivati a ciò, quando le decisioni dovevano essere prese di ora in ora, mentre oggi, a tre mesi dalla riapertura del lockdown, siamo ancora incapaci di dare orizzonti certi, fermandoci a parlare di metri che vanno e vengono, banchi che ancora non arrivano e mascherine che scompaiono e riappaiono. Il rischio, senza tanti giri di parole, non è “solo” il rinvio dell’anno scolastico, ma il presupposto per un dramma sociale inaudito che rischia di ipotecare in negativo il futuro dei nostri figli; l’aumento vistoso della già troppo elevata dispersione scolastica. Il 30% degli scolari, senza parlare dei più piccoli nella scuola dell’infanzia, come ammette lo stesso ministero non ha avuto alcuna didattica a distanza e un altro 20% l’ha avuta in modo erratico, parziale, casuale.
A Rimini è andata meglio grazie all’impegno dei direttori didattici, agli insegnanti e all’appoggio delle istituzioni. Ma quel 30% è una percentuale che dovrebbe far tremare i polsi non solo alla ministra Azzolina, ma a tutti i presidi, a tutti gli insegnanti, a ogni genitore. Più dispersione significa da un lato perdita di fiducia e di motivazione e dall’altro aumento delle disparità sociali; significa il rischio di perdere una generazione dei nostri ragazzi, sia a livello didattico che sociale.
La modalità con cui si è cercato di supplire a questa mancanza di un luogo per tutti – la scuola, la classe - ha ampliato le disuguaglianze. Non avere i soldi necessari per pagare gli strumenti tecnologici e la connessione veloce necessari per la didattica a distanza ha determinato disparità nell’accesso all’istruzione, ma anche disuguaglianze culturali. Anche avere o non avere i genitori in grado di darti una mano ha fatto la differenza, così come lo spazio a disposizione a casa, tantissimi dovevano condividere con loro e con i genitori un unico computer o cellulare di famiglia.
È a questo che vogliamo tornare?
Eppure il tempo non è mancato, come ci si può ridurre a questa imbarazzante melina a meno di un mese dal suono della prima campanella? A Rimini ci siamo mossi da subito per essere pronti a riaprire le scuole, programmando insieme a direttori didattici ed insegnanti i lavori classe per classe, istituto per istituto,come i muri da abbattere per allargare le classi, gli spazi da adattare alla didattica all’esterno e all’interno, i giardini da attrezzare, i percorsi di entrata ed uscita in sicurezza. Abbiamo già fatto incontri e ragionamenti per anticipare il tema delle mense scolastiche, con l’obbiettivo prioritario di non far ricadere i costi aggiuntivi in materia di sicurezza sulle famiglie. Come? predisponendo ad esempio gli spazi della classe per poter mangiare del cibo sano e preparato con cura sul momento e non monodosi che comporterebbero più costi, meno qualità e ricadute sia dal punto di un maggiore impatto ambientale che di un minore livello occupazionale.
Non sono mai stato tra coloro che hanno detto sin dall’inizio che “andrà tutto bene” e “saremo migliori”, quella è una forma di auto rassicurazione a cui un amministratore pubblico non deve cedere. Ciò che eravamo non è cambiato radicalmente, ma va comunque ripensato nel profondo, con coraggio, condivisione, determinazione e professionalità, avendo la consapevolezza che incombe una data, il 14 settembre, oltre cui ci giochiamo tutti la nostra credibilità nei confronti dei nostri figli.