A dirlo è Fiona May, icona dello sport vincente del nostro Paese, una donna che da sempre è abituata a sfidare i limiti, a competere, a farsi valere e a ribaltare quei pregiudizi legati al colore della pelle di cui ancora siamo intrisi. Eppure anche la campionessa azzurra ammette di avere le armi spuntate contro la violenza verbale che si scatena sui social, un avversario tutt’altro che semplice da battere.
Inutile dire che sto con Fiona May: servono misure forti, efficaci e in tempi rapidi per regolamentare la giungla dei social dove tutto è permesso. Dove capita persino che un docente universitario, vicino anche ad ambienti politici e istituzionali, finisca per essere accusato di fare ‘cyberbullismo’ nei confronti di una Ministra, guarda caso donna, com’è capitato a Lucia Azzolina. Da sempre ritengo che i leoni da tastiera non vadano sottovalutati: perché se è vero che gli insulti, le offese sono consegnate alla bolla ‘virtuale’, gli effetti di queste parole si ripercuotono nella vita reale. Anche la persona più forte, anche chi è abituato a gestire le insane dinamiche che si scatenano nei commenti a un post su Facebook o a un tweet, non può restare indifferente. E non deve restare indifferente.
Personalmente ho deciso già da tempo di non chiudere gli occhi davanti a chi offende trincerandosi dietro uno schermo e in questi anni, con il prezioso supporto dell’avvocato Maurizio Ghinelli, ho presentato querela nei confronti di 17 persone per aver scritto parole lesive della mia dignità. In cinque casi la questione si è risolta con le scuse e con un risarcimento devoluto ad associazioni benefiche attive sul territorio di Rimini. Altre cause sono ancora in piedi: una in particolare, che sarà discussa nelle prossime settimane, prevede l’accusa di incitamento alla violenza e all’odio razziale.
Il problema però è che spesso le parole più pesanti e infamanti vengono scritte utilizzando profili falsi, a cui non sempre si riesce a risalire. Una forma di codardia che però oggi è legittimata dall’assenza di normative chiare. Credo che in una fase come quella attuale in cui, anche forzatamente, parte della nostra vita si è trasferita on line e in cui la comunicazione anche e non solo politica è sempre più ‘social’, serva una vera regolamentazione per far sì che l’identità di chi vive on line sia sempre accertabile. Non si può continuare in questa deresponsabilizzazione della società, alimentata dalla consapevolezza che tutto è concesso perché resterà impunito”.